CULTURA

Quando la Cultura scende in campo vincendo ai “tempi supplementari”

Quando la Cultura scende in campo vincendo ai “tempi supplementari”

di TIBERIO CRIVELLARO

L’EMERGENZA DELL’ATTUALE VIRUS che conosciamo sulla nostra pelle, fa si che potremmo paragonarla a una gran finale di calcio  Europeo per la vita. Undici i titolari, più la panchina composta di soggetti che possono fare la differenza ai tempi supplementari.

Tra i titolari, la petite Italie, l’Espagne, Grècie et Poutogal. Squadra contro quegli altri che ci vogliono far perdere la partita. Metto in tribuna, no, anzi fuori dall’arena degli Spartacus” quegli Stati che vogliono giocare individualmente, con cattiveria e scorrettezze, quali: in primis l’Ungheria, (con un Premier  infame) seguita da Olanda e Svezia I non convocati: Cecoslovacchia, Polonia e qualche altro “territorio nemico”. Abbiamo allenatori capaci al modulo vincente.

Allenatori che badano più allo stile, che alla lunga vince, sopportando crampi e infortuni, anche se l’arbitro “alemanno” è di parte. Allenatori come Noam Chomski e Roland Gori, i quali ben suggeriscono  come si deve giocare contro “Il fronte di un altro errore colossale: errore e attentato mondiale del capitalismo neoliberista.” Dobbiamo mettere in campo giocatori che fanno cultura, attaccanti insomma, e difensori che ripetono formazioni vincenti, come i  Socrate, i Dante, i Leopardi, i Levi, gli Ungaretti, i Sanesi, i Guarracino…o psicanalisti come Ricci, Laurent, Iara Bianchi, Susana De Hoffman, Alberto Sladogna, ecc.

Non posso nominarli tutti i grandi  “giocatori” degli ultimi…tremila anni. Ma chi mettiamo a difendere la porta di tale squadra? Ognuno valuti il suo Buffon, a condizione che sia pensante, non certo attratto dalle indicazioni vergognose del tifo di certe “curve”. E una difesa che sa marcare coloro che ci vogliono colabrodo, una mediana che fa gioco di squadra per passare la palla finale a colui che segna. Come fece il Brasile nel 1958 dando la possibilità a un giovane 17enne che si chiamava Edson Arante do Nascimento, sopranominato da Altafini, Pelè, a essere protagonista di punta. A

vevano lo spirito di unità e, prima di giocare per se stessi, giocarono per il Paese. Pelè giocò la finale contro la Svezia (vincendo la Rimet) zoppicando per un grave precedente infortunio al ginocchio. Bisogna far si che il ginocchio (Socrate ?) rimanga quella parte attiva che sa soffrire come fecero Leopardi e Ungaretti. Così si vince, tribolando, facendo si che la squadra attraversi un inevitabile Inferno, poi il Purgatorio per toccare, infine il Paradiso.

Si potrebbe ripristinare il “catenaccio” di Rocco? Intanto, non prestiamo orecchie alla curva che ci tifa contro, come i Salvini e “camerati” altri… Perché, rammentate, non è il momento di divisioni d’intento. Può uno Stivale stare in piedi e camminare bene senza Tacco? Spero di avervi fornito del materiale, per quanto poco, utile a riflettere, decisamente, una volta tanto.

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