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Conclusa Genesi, la grande mostra di Sebastiao Salgado

Conclusa Genesi, la grande mostra di Sebastiao Salgado

Conclusa Genesi, la grande mostra di Sebastiao Salgado Conclusa Genesi, la grande mostra di Sebastiao Salgado Conclusa Genesi, la grande mostra di Sebastiao Salgado Conclusa Genesi, la grande mostra di Sebastiao Salgado

di ENZO CARLI

SI E’ CONCLUSA LA MOSTRA DEL GRANDE FOTOGRAFO Sebastião Salgado, in programma presso i Musei del San Domenico a Forli. ( Ideata da Amazonas Images, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmi di Forlì con il concorso con del Comune di Forlì, la mostra è organizzata da Civita Mostre in collaborazione con Contrasto).
A proposito del titolo della mostra:” Genesi”, spiega Salgado perché è “una ricerca del mondo alle origini prima che la vita moderna ci allontanasse dall’essenza della nostra natura”. Salgado celebra la natura che “regna nel silenzio della sua magnificenza immacolata”. Genesi è importante proprio perché è un progetto fotografico, iniziato nel 2004. Viaggiando nei cinque continenti, Salgado ci propone una serie di fotografie, in bianco nero , (origini per origine) che festeggiano la grande bellezza del nostro pianeta attraverso scatti magnificenti, sacrali. “Far conoscere per far amare” è l’obiettivo di Genesi, “un cammino per riscoprire la vera identità umana nella natura“, promuoverne la salvaguardia e indurre a uno stile di vita nuovo.
La mostra ”Genesi” a cura di Lélia Wanick, moglie e  grande collaboratrice di Salgado, si compone di una selezione di 245 scatti in bianco e nero, volti a “condividere”, secondo le parole dello stesso fotografo,“un mondo ancora intatto, che troppo spesso sfugge ai nostri occhi e alla nostra conoscenza”. Per Salgado, “questo progetto è come un percorso potenziale verso la riscoperta del ruolo dell’uomo in natura. L’ho chiamato Genesi perché, per quanto possibile, desidero ritornare alle origini del pianeta: all’aria, all’acqua e al fuoco da cui è scaturita la vita; alle specie animali che hanno resistito all’addomesticamento e sono ancora “selvagge”; alle remote tribù dagli stili di vita “primitivi” e ancora incontaminati; agli esempi esistenti di forme primigenie di insediamenti e organizzazione umane,quella delle popolazioni indigene ancora vergini: gli Yanomami e i Cayapó dell’Amazzonia brasiliana; i Pigmei delle foreste equatoriali del Congo settentrionale; i Boscimani del deserto del Kalahari in Sudafrica; le tribù Himba del deserto namibico e quelle più remote delle foreste della Nuova Guinea. Salgado ha socializzato con questi gruppi e raccolto una serie di immagini della vita primordiale.

“Genesi non è solo una ricerca estetica – dichiara Salgado – ma anche etica e spirituale in un certo senso, un modo per dire soprattutto alle nuove generazioni che il Pianeta è ancora vivo e va preservato. Abbiamo fatto una ricerca e abbiamo fatto una scoperta molto interessante: circa il 46% del mondo è ancora come il giorno della genesi, insieme possiamo continuare a fare in modo che questa bellezza non scompaia”.

Per realizzare il progetto (durato 8 anni), 32 viaggi nei più perduti e nascosti angoli del mondo, Salgado accompagnato dalla moglie Lélia, dal figlio Juliano o dal collega Jacques Barthélemy, supportato dallo staff di  Amazonas images si è spostato dai ghiacciai dell’Antartide fino alle vaste foreste tropicali, dalla taiga dell’Alaska al deserto del Sahara, utilizzando diversi mezzi quali  piccoli aeroplani, mongolfiera, imbarcazioni. La mostra era organizzata in cinque sezioni: Africa, Pianeta Sud, Santuari, Le terre del nord, Amazzonia, Pantanal.

Spiega Lélia Wanick Salgado: “Genesi è la ricerca del mondo delle origini, come ha preso forma, si è evoluto, è esistito per millenni prima che la vita moderna accelerasse i propri ritmi e iniziasse ad allontanarci dall’essenza della nostra natura. È un viaggio attraverso paesaggi terrestri e marini, alla scoperta di popolazioni e animali scampati all’abbraccio del mondo contemporaneo. La prova che il nostro pianeta include tuttora vaste regioni remote, dove la natura regna nel silenzio della sua magnificenza immacolata; autentiche meraviglie nei Poli, nelle foreste pluviali tropicali, nella vastità delle savane e dei deserti roventi, tra montagne coperte dai ghiacciai e nelle isole solitarie. Regioni troppo fredde o aride per qualsiasi cosa salvo per le forme di vita più resistenti, aree che ospitano specie animali e antiche tribù la cui sopravvivenza si fonda proprio sull’isolamento. Fotografie, quelle di Genesi, che aspirano a rivelare tale incanto; un tributo visivo a un pianeta fragile che tutti abbiamo il dovere di proteggere.

Salgado inizia come reporter nel 1973 con una serie sulla siccità del Sahel; uno dei lavori più conosciuti e che lo ha portato alla ribalta internazionale è stato realizzato nella miniera d’oro della Serra Pelada, in Brasile. Su Genesis scrive il grande fotografo: «Uno stimolo per imparare a guardare il nostro pianeta in modo diverso e capire l’importanza di proteggerlo», e spiega Lélia Wanick Salgado, la curatrice della mostra: «Genesi è la ricerca del mondo delle origini, come ha preso forma, si è evoluto, è esistito per millenni prima che la vita moderna accelerasse i propri ritmi e iniziasse ad allontanarci dall’essenza della nostra natura. È un viaggio attraverso paesaggi terrestri e marini, alla scoperta di popolazioni e animali scampati all’abbraccio del mondo contemporaneo. La prova che il nostro pianeta include tuttora vaste regioni remote, dove la natura regna nel silenzio della sua magnificenza immacolata; autentiche meraviglie nei Poli, nelle foreste pluviali tropicali, nella vastità delle savane e dei deserti roventi, tra montagne coperte dai ghiacciai e nelle isole solitarie. Regioni troppo fredde o aride per qualsiasi cosa salvo per le forme di vita più resistenti, aree che ospitano specie animali e antiche tribù la cui sopravvivenza si fonda proprio sull’isolamento. Il materiale è suddiviso in cinque sezioni: «Abbiamo cominciato con il sud del pianeta, l’Argentina, l’Antartico e le sue isole. Abbiamo poi costruito una sezione sull’Africa, un continente estremamente diversificato ma che certo si distingue dagli altri. La terza parte l’abbiamo dedicata a un certo numero di isole che definiamo “i santuari del pianeta” perché custodiscono una biodiversità particolarissima, come il Madagascar, la Papua Nuova Guinea e i territori degli Irian Jaya. E poi l’emisfero nord del mondo che comprende regioni fredde ma nel quale abbiamo incluso anche il Colorado, meraviglioso territorio degli Stati Uniti. La quinta e ultima sezione è riservata all’Amazzonia, il polmone del mondo e il luogo dove abitano un’immensità di specie, di flora e di fauna. L’Amazzonia del Brasile ma anche quella del Venezuela, con le sue magnifiche catene montuose. E nel nostro Brasile presentiamo anche la zona del Pantanal: un habitat di specie faunistiche molto differenziate e importanti».

Sebastião Salgado scrive di se nel testo di In cerca di un paradiso: «Sono nato nel 1944, in una grandissima azienda agricola del Brasile il cui territorio era coperto all’epoca, per circa il 60%, dalla foresta tropicale. Quando negli anni Novanta i miei genitori, ormai anziani, hanno voluto consegnare l’azienda agricola a noi figli, io e le mie sette sorelle ci siamo ritrovati tra le mani un territorio in cui le foreste erano per lo più annientate. Dalla copertura originaria, superiore al 50%, eravamo scesi a meno dello 0,5%. Era ormai una terra bruciata; un territorio dove avrebbero potuto essere allevati decine di migliaia di capi di bestiame, ora era in grado di sostenerne appena qualche centinaia. Mia moglie Lélia (lei non è solo la curatrice delle mie esposizioni, dei miei libri, quella che di fatto progetta tutto questo, ma è la mia socia per tutto ciò che facciamo nella nostra vita) mi ha detto “Sebastião, visto che sostieni di essere nato in paradiso, perché non costruire – o ricostruire – veramente questo paradiso? Perché non ripristinare la foresta tropicale che una volta ricopriva questa superficie?”. Così, abbiamo deciso di provarci e parlando con una serie di amici siamo riusciti a ideare un vero progetto di recupero ambientale. Abbiamo subito capito che per tentare di ripristinare l’ecosistema quale esisteva prima di questa devastazione, avremmo dovuto piantare per lo meno 2 milioni, forse 2 milioni e mezzo di alberi di almeno 100 specie botaniche diverse. Per raccogliere le risorse necessarie, abbiamo viaggiato da un capo all’altro del mondo e devo dire che l’Italia è stato tra i Paesi che ci hanno aiutato di più, come anche Spagna, Stati Uniti e comunque in primis il nostro Brasile. Attualmente, siamo a oltre 2 milioni di alberi piantati: abbiamo più di 300 specie diverse.

In Genesi vedrete dunque fotografato ciò che noi tutti insieme dobbiamo, e sottolineo dobbiamo, proteggere. Quella parte cioè che resta estremamente viva – forse un 45% – ed è ancora come al tempo della Genesi. Realizzando questo progetto non ho voluto assumere l’atteggiamento dell’antropologo, né dello scienziato. Io sono andato a fotografare come semplice curioso; per vedere, prima di tutto, e poi per mostrare ad altri quel che mi aveva toccato nell’intimo. Non solo. Credo sia la prima volta che fotografo altre specie animali. Io ho sempre fotografato una sola specie: noi uomini. La mia impostazione è quella del fotografo e giornalista. Con massimo rispetto mi sono avvicinato alle altre specie, animali, vegetali, minerali e ho compreso che tutto ciò che esiste di utile, di importante, di essenziale nel nostro mondo, esisteva già in un tempo anche lontano. Nelle società così dette primitive esisteva già un’idea di solidarietà, di società, di amore. Esisteva l’assistenza, le medicine, perfino gli antibiotici e gli antinfiammatori. Noi non abbiamo fatto altro che sistematizzare queste conoscenze.

Un trattato (visivo) di antropologia culturale in cui la fotografia recupera un ruolo (fatato) di poesia e conoscenza. Sono certezze le immagini di Salgado, un rinvenimento colto della fotografia. Un progetto estremo che ha recuperato immagini  che provocano stupore, estraniamento e riflessione. La fotografia che ritrova le matrici originarie, nell’uso del bianco e nero, nella acquisizione sapiente di una realtà lontana, sospesa magicamente in spezzoni di un tempo stregato che stupisce e incanta per la sua maestosità e bellezza. Salgado mon amour, fulgido esempio per tutti quei fotografi naturalisti che tramano impegno sociale con l’incanto, l’avvenenza e l’imponenza. E se la fotografia continua a sorprendere nel suo incredibile percorso alla ricerca di una sua altra identità, tra nuovo e tradizione, come dire spavaldamente tra analogico e digitale, tra meta e parafotografia, alla fine resta il reale e l’immaginario. In un tempo forse per alcuni ormai lontano la fotografia era il pretesto per discutere di concetto, di interiorità, di foto terapeutica, di poesia e letteratura presentando foto spavalde, al limite della consapevolezza; ancora oggi, pur sentendomi inevitabilmente attratto dal sapiente lavoro di Salgado che ringrazio per esserci e per avere conferito ulteriore dignità alla fotografia, sono sfinito psicologicamente dall’impegno di ricerca, nel perlustrare i non limiti di questo incredibile medium.

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