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Il disagio dello psicoterapeuta secondo Irvin Yalom

Il disagio dello psicoterapeuta secondo Irvin Yalom

Il disagio dello psicoterapeuta secondo Irvin Yalom di TIBERIO CRIVELLARO

PROSEGUENDO CERTE CONSIDERAZIONI FATTE nel precedente articolo del 23 dicembre 2016 su Irvin Yalom scrittore e psicoterapeuta americano intorno tangibili identificazioni con i protagonisti dei suoi romanzi, dopo “Le lacrime di Nietzche” ne proporrò altre intorno “La Cura Shopenhauer” ( semper di Irvin Yalom, Neri Pozza Ed.) Romanzo che mette in scena  un caotico rapporto tra due terapeuti di diverse personalità. Ambizione da una parte ,quella del Dott. Hertzfeld, prestigio ossessivo, dall’altra di Philipe Slate. Il secondo vuole prevaricare sul primo. Il paziente “ostico” cerca di affermarsi sul “vecchio” analista manifestando, dopo una  fallimentare analisi, come abbia dedicato, successivamente, vita ed energie vitali a una diversa formazione analitica leggendo Shopenhauer.

In tal contesto, si presenta con una cura infallibile; un efficace rimedio tratto dal pensiero filosofico del tedesco di Francoforte. Qui si amalgamano, fino a confondersi, filosofia, psicologia e analisi “selvaggia”. “La cura Schopenhauer” diventa un’apologia filosofica tra Epitteto e Nietzche. Indubbiamente Yalom è un abile narratore che “inchioda” il lettore alle ansie rapportate all’esistenza contemporanea. Tuttavia, sembra mettersi alla corda. Come  psichiatra, attraverso la scrittura romanzata, evidenzia suoi disagi. Fornisce qua e là elementi tali da richiedere un conforme interlocutore col quale poter elaborare alcune nevrosi che lo riguardano.

L’esigenza di un autentico confronto analitico che gli permetta di articolare in maniera soddisfacente i suoi  disturbi. E’ possibile supporre quanto la sua scrittura sia autoterapeutica e il lettore, poi, (fantasmaticamente) funga da ponte verso l’ambito guado. I suoi romanzi sono un continuo intreccio di storie tra analisti e pazienti che vanno a costituire la discussione intorno  i fondamenti della psicanalisi. Non certo come quella avviata in America considerata “salvifica” dopo il secondo conflitto mondiale ma che nel tempo pare essersi “infiltrata” tra i modelli  universitari, coinvolgendosi, successivamente, nella psichiatria del DSM (Diagnostic and Statical Manual of Mentales Disordes). Si noti come Irving Yalom si serva di una filosofia pseudo-teoretica preconfezionata nei suoi best-sellers a uso e consumo psicologico; lontana dalla “cura” che sottilmente propone. Lontana dal “prendersi cura di sé” attraverso un autentico confronto di ascolto e parola dove il “divano” o “lettino” assieme  al “Terzo” (cioè l’Ascolto”) risultino scomodi costituendo così la vera pratica e la formazione dello psicanalista. Indicazioni peraltro fornite sin dagli esordi da Freud e proseguite successivamente da Lacan.

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