CULTURAIN PRIMO PIANOMARCHE

Versi come proiettili quelli della poetessa dissidente curda Widad Nabi

di TIBERIO CRIVELLARO

Lo scorso 25 aprile era l’ottantesimo anno della Liberazione dal nazi-fascismo e della resistenza. Tema ideale per introdurre la vicenda di un’altra resistenza e lotta nella Siria Curda: quella della poetessa Widad Nabi di Kobane la quale, durante la guerra civile del 2015, si era unita ai gruppi di opposizione al regime di Bashar al-Asad. Combattiva nelle manifestazioni che dilagavano, sia come giornalista di punta, è dovuta fuggire via mare e terra ottenendo finalmente asilo politico in Germania, a Berlino, dove vive.

Reduce da un breve ma intenso tour italiano, la poetessa “combattiva” ha presentato in alcune città la sua raccolta “Un continente chiamato corpo e altre poesie” (Di Felice Edizioni) ottenendo una particolare attenzione da un pubblico attento nonostante la poca sensibilità per la poesia sia ormai “drammatica”. In Italia si preferisce promuovere alcuni personaggi che fanno su e giù nelle varie emittenti televisive, nei talk show politici.

Parole chiavi per la Nabi sono, Amore: “Nessuno sa dove va l’amore quando finisce/ ma intanto lui va e lascia le sue tracce (…), corpo “…Il tuo corpo rifiorisce/ ad ogni battaglia/ una pianta bombardata dal vento lontano(…) Il tuo corpo è un continente di aranceti nella memoria/ del tempo/ mille grammi di paradiso/ più prezioso di una miniera d’oro (…),Esilio: “Cammini a lungo/ e lo sai, sei senza cuore/ in città straniere…e ti perseguita la nostalgia (…) nell’oscurità che pervade ogni esule (…), Guerra: “…So bene/ che la morte è il posto ideale/ per preservare e custodire i nostri beni dalla rovina/…Ma dimmi come morrà il tuo nome nella mia bocca/ mentre lo ripeto/ come fosse l’eterno.”, Donna: “Le donne sole/ che hanno passato la via a correre/…perché sempre costrette a correre dietro a qualcosa/…hanno gettato gli anelli d’amore nei fiumi di città straniere”.

La sua poesia ha un qualcosa di sensuale e “violento”, forse proviene dall’urlo della guerra civile che le ha quasi lacerato la vita, da immagini vissute di devastazione e morte? Ma che non ha cancellato l’obiettivo di ricomporre le fratture subite e le perdite, non quelle dei sensi che accendono un assoluto poetico fortemente femminile (da farci ricordare le nostre eroiche partigiane dal 1943 al 1945 – e quanto è straordinariamente femminile il mascara col Kalashnikov, simbolo di morte ma anche di resistenza, “strategicamente liberatorio”) che evidenziano l’identità di riscatto per una più ampia comunità di sfollati provenienti da paesi dilaniati, da dove questi emigranti provengono.

Il primo approdo è sulle spiagge di una Sicilia ancora accogliente, diversamente da altre regioni nordiste. Ma il femminile di Widad Nabi è anche responsabilità intellettuale verso i fondamenti dei diritti della donne troppo e continuamente negati. Capito signori uomini?  Ogni poesia ha testo a fronte in lingua araba tradotta da Simone Sibilio, anche a spiegare quanto “La morte come fosse un rottame”. Bella e potente è la postfazione di Ilaria Giovinazzo. Comprate, investite.

WIDAD NABI

UN CONTINENTE CHIAMATO CORPO E ALTRE POESIE

Di Felice Edizioni

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