CULTURAMARCHE

Con un bel libro Roland Gori torna ad attaccare la società del controllo

Con un bel libro Roland Gori torna ad attaccare la società del controllo

di TIBERIO CRIVELLARO

Lo psicoanalista marsigliese Roland Gori, con gli Agamben, Umberto Galimberti e il franco-argentino Eric Laurent, per citarne alcuni, risulta essere tra le voci notevolmente efficaci a condensare attraverso filosofia e psicoanalisi le piaghe della modernità. Tra coloro che da decenni si interrogano sui pesanti disagi del vivere causati da moderno neorealismo, via via sempre più soffocante.

Nel contesto non si associano i Recalcati ripetitivi e onnipresenti nei talk-show o il troppo celebrato Alain Miller, che ha ereditato da Jacques Lacan gli avamposti-insegnamenti della psicoanalisi dopo Freud. Miller non ha aggiunto un granché alle storiche “leçons”, del fine  pensatore suo suocero, scomparso nel 1981. Intanto Roland Gori ritorna agli attacchi frontali contro la società del controllo, contro le mistificazioni dei mazzi stampa e televisivi, servi dei poteri camuffati da pseudo-progressisti.

Un nuovo e diverso fascismo in completo grigio e cravatta azzurra. Gori, nel suo ultimo “La fabrique de nos servitudes –  La frabbrica delle nostre servitù” (LLL Les Liens Qui Libèrent –  nelle migliori librerie italiane), nuovamente, con nuovi spunti riflessivi, lo scrivente d’oltralpe evidenzia altre molecole sulle arroganze polico-sociali-economiche: la fabbrica di schiavitù nei confronti di individui, di intere popolazioni in nome dell’efficienza tecnica; illusioni di felicità fornita da algoritmi e dalla globalizzazione dei mercati. Per uscire da questa prigionia occorrebbe, giocoforza, modificare le peggiori abitudini ripristinando una nuova forma rivoluzionaria, sia nel linguaggio quanto quello della metafora dato che gli “ordini precostituiti” odiano le utopie, peggior loro nemico.

Ma le “utopie”, ovvero fuggire dall’attuale paesaggio, non possono solamente ridursi a generi letterari o fantasticherie pseudo-politiche di un improbabile futuro. Bisogna ricostituire l’etica con lo stile in autentiche forme di libertà. Nella storia della schiavitù, evidenzia il saggio, e nelle lotte sociali del “marroniage” (l’esser presi in castagna) attraverso metonimiche danze prioritarie, non sono state vere emancipazioni. Bisogna resistere alla fabbricazione di schiavitù attraverso i principi dell’utopia come nuovo modo di pensare e agire all’infinito, alle complessità, alle instabilità e al “diverso” richiesto dai sintomi e dai disagi, ad ansie anestetizzate dai farmaci, dalla psichiatria del DSM numero 13… Prendere, insomma, l’utile per renderlo “bello”, dare al “vivere” la giusta cittadinanza in modo che le nostre minute vite diventino maiuscole. Roland Gori è psicoanalista e Professore onorario di psychopathologia presso l’Università Aix-Marseille e Presidente de l’Associations Appel des Appels. Da almeno un ventennio si occupa della fenomenologia neoliberista.

ROLAND GORI

LA FABRIQUE DE NOS SERVITUDES

LLL Les Liens Qui Libèrent

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