CULTURAIN PRIMO PIANOMARCHE

“A due anni dal terremoto il patrimonio culturale resta ancora un fronte aperto”

“A due anni dal terremoto il patrimonio culturale resta ancora un fronte aperto”

Presa di posizione di Legambiente sulla gestione attuale e sulla fruibilità futura dei beni culturali sottratti alle macerie nelle Marche

ANCONA – “Nella nostra regione è ancora in corso una vera e propria emergenza sullo stato di conservazione dei beni sottratti alle macerie. Aspettiamo ancora un piano concreto di messa in sicurezza, di gestione dei beni recuperati e una prospettiva per la loro fruibilità futura. È giunto il momento di pensare e ragionare, insieme alla comunità e a tutti i portatori di interesse, su quella che sarà la nuova geografia dei beni culturali in questa regione e di disegnare uno scenario di nuovi edifici e contenitori in cui mettere in mostra le opere, che già ora sono in condizione di essere esposte, che veda il coinvolgimento delle comunità locali. Ciò significherebbe dare una prospettiva forte e concreta per costruire piani di promozione turistica e punti di riferimento per la cittadinanza colpita”.

Questo il commento di Francesca Pulcini, presidente di Legambiente Marche, a due anni dal sisma che ha colpito fortemente il Centro Italia e le Marche.

Dalla relazione sulle attività di resoconto dell’UCCR Marche all’UCCN datata 17 luglio 2018, emerge, infatti, che sono 13.211 beni mobili complessivamente recuperati, solo 1.563 si trovano in 2 depositi gestiti dal MIBACT. Uno è situato presso la Mole Vanvitelliana di Ancona, data in concessione gratuita al MIBACT dal Comune di Ancona ed ospita 1.423 beni, l’altro è il Forte Malatesta di Ascoli Piceno di proprietà del Demanio, dato in concessione al Comune di Ascoli Piceno, sede del Museo Civico che ai piani inferiori ospita i restanti 140 beni. Gli altri 11.648 sono in luoghi di ricovero dispersi: tre depositi nella Diocesi di Camerino, due depositi nella Diocesi di Ascoli Piceno, uno nella Diocesi di Fermo, un deposito nel comune di Amandola, uno nell’Istituto Campana a Osimo. Altri addirittura si trovano attualmente in “luoghi di ricovero temporaneo”, come “conventi annessi alle chiese danneggiate”, siti non tutti adeguatamente attrezzati per garantire la sicurezza ai beni salvati. Nella relazione, inoltre, riguardo il deposito della Mole Vanvitelliana di Ancona, è specificato che solo per una parte delle opere, quelle in condizioni più “gravi”, si è provveduto a sostituire gli imballi di prima emergenza e sono state oggetto di un pronto intervento in attesa del restauro definitivo.

I tre eventi sismici che si sono succeduti a partire dal 24 agosto 2016 hanno inferto enormi colpi al patrimonio culturale, tra cui chiese, monumenti, edifici storici, affreschi, tele, statue, materiale archivistico e librario e organi musicali storici, presenti in migliaia di edifici ecclesiastici, nei numerosi musei civici e diocesani e nei palazzi sia pubblici che privati. Ma se è vero che la successione degli eventi e la vastità dell’area colpita sono stati eccezionali, è altrettanto vero le Marche si sono fatte trovare impreparate. Molte le falle che non hanno permesso il massimo dell’efficienza e dell’efficacia nell’affrontare l’emergenza del recupero, salvaguardia e fruizione del patrimonio culturale.

“Nonostante il nostro gruppo di volontari, il primo organizzato e formato per operare in emergenza e che è nato proprio in risposta al terremoto Marche e Umbria del 1997, sia stato un valore aggiunto straordinario per la comunità e per le Istituzioni, – continua Pulcini – l’azione svolta dal mondo del volontariato è stata contrastata e bloccata per molti mesi, mentre le opere rimanevano sotto macerie e neve, e ad oggi continua e non essere considerata, nonostante la dichiarata disponibilità. Una forte criticità, inoltre, è stata rappresentata dalla distanza tra il centro organizzativo (Ancona) e i territori colpiti con enormi perdite di tempo, né sono mancati duplicazioni di sopralluoghi. A questo va aggiunta l’ostinata incapacità di creare una vera collaborazione sia in fase di emergenza che post emergenziale tra enti e ed Istituzioni, fra l’UCCR, la Regione e la CEI, causando rallentamenti e ostacoli su un lavoro che potrebbe trovare soluzioni adeguate anche per la ripartenza del territorio. Sollecitiamo, quindi, una seria analisi di ciò che non ha funzionato, sia per porre subito rimedio sia per meglio attrezzarsi in caso di altre emergenze”.

La relazione evidenzia, inoltre, che, a causa della mancata individuazione del deposito, non è possibile esaudire le richieste di trasferimento di fondi archivistici e librari per permettere gli interventi sugli edifici, provocando ulteriori ritardi nella ricostruzione. Mancano spazi adeguati per ricoverare i numerosi organi storici che giacciono nelle chiese danneggiate e numerosi sono gli affreschi su cui intervenire con velinature o con la raccolta dei frammenti dalle macerie.

In tutto ciò, dal 2015, l’Unità di Crisi delle Marche, così come previsto dalla Direttiva Franceschini del 23 aprile 2015, si è attivata per cercare un luogo da destinare a deposito dei beni recuperati da eventi calamitosi di proprietà statale-demaniale ma, nonostante gli ultimi solleciti (14/03/2018), non ha ancora ricevuto risposte.

“Ci preme ricordare al Ministro Bonisoli che le Marche sono ancora in emergenza – conclude Pulcini – e ci aspettiamo un suo deciso interessamento, perché una buona parte del patrimonio culturale marchigiano aspetta ancora di essere messo in sicurezza. Chiediamo anche che le Istituzioni regionali vengano aiutate dal Governo a predisporre un piano di gestione dei beni recuperati, rendendoli fruibili nei territori di appartenenza in depositi attrezzati con laboratori e spazi polifunzionali, aperti alle scuole, alla popolazione, ai restauratori, alle università, capaci di creare occupazione e flussi turistici. Salvaguardare il patrimonio culturale di una comunità per restituirlo ai cittadini, anche attraverso il loro coinvolgimento, rappresenta uno dei modi per garantire risorse per una futura rinascita del territorio e dello spirito della comunità marchigiana”.

 

 

 

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