L’INTERVENTOMARCHEPOLITICA

“La salute dei cittadini pretende servizi accessibili, trasparenza e partecipazione”

“La salute dei cittadini pretende servizi accessibili, trasparenza e partecipazione”

PESARO – Il movimento politico LeU (Liberi e Uguali) di Pesaro e Urbino ha elaborato un interessante documento politico che ben volentieri pubblichiamo:
“Le scelte che si stanno adottando sulla sanità nella provincia di Pesaro Urbino condizioneranno adesso e nel futuro la vita delle persone che risiedono nel nostro territorio. La Giunta regionale, infatti, sta preparando dei cambiamenti strutturali che vanno in un’unica direzione, quella del drastico ridimensionamento del servizio pubblico e di un evidente depauperamento dei servizi nelle aree interne senza alcun coinvolgimento dei cittadini e senza una discussione pubblica. LeU ritiene che si debba aprire un confronto ampio, partecipato con tutti i cittadini rendendo chiari e condivise le proposte in discussione e non leggendole in interviste pubblicate sul Resto del Carlino o sul Corriere Adriatico che, comunque, hanno avuto il merito di metterci a conoscenza della situazione.

Abbiamo letto nei giornali:

  • i proclami trionfalistici di chi ritiene una vittoria mantenere a Fano il pronto soccorso, alcune specialistiche, la nascita di una clinica privata, 20 milioni per le strade, 40 posti di Rsa e la costruzione dell’ospedale unico a Muraglia, probabilmente tramite un project financing. Si è poi scoperto che per “un errore di scrittura” (?) nella delibera regionale n. 523 del 23 aprile 2018 non è prevista la chirurgia d’urgenza, richiesta dal Sindaco di Fano e la delibera non ha neppure acquisito il parere della Conferenza di Area Vasta, che per legge ha la titolarità della programmazione sanitaria;
  • che sono state presentate due proposte di project financing all’Azienda ospedaliera Marche Nord, proprietaria del polo ospedaliero, per realizzare il nuovo ospedale di Muraglia (polo ospedaliero Marche Nord) con servizi annessi. La prima del 2017 è della società ICM S.p.A. (ex Maltauro), l’altra del 26 marzo 2018 di un’associazione d’imprese, composta da Renco con una quota del 49%, Siram del 34%, Papalini del 17,3% e Linea Sterile del 8,9%. I progetti dovranno essere valutati e autorizzati dalla Regione che, fatta la scelta, attiverà la gara;
  • che il nuovo ospedale, localizzato a Muraglia nella stessa area dove si trova oggi, secondo il progetto presentato dalla Renco, avrà un numero complessivo di 612 posti letto e un’estensione totale di 102.600 mq, circa 7,5 ettari. Saranno previste 28 sale operatorie di cui 13 ordinarie, 4 dedicate alla natalità, 11 di day/surgery-ambulatori chirurgici, 40 postazioni di terapia intensiva, 90 ambulatori e 4500 mq di pronto soccorso. Inoltre saranno realizzati 65.000 mq circa di parcheggi per auto e moto e un’area verde di oltre 15.000 mq.;
  • che l’azienda che vincerà la gara avrà la concessione per l’esecuzione e la gestione dei servizi per 25 anni. In particolare, nella proposta presentata da Renco, questa e Siram si occuperanno del servizio di manutenzione e gestione dell’energia, la Papalini S.p.A. del servizio di pulizia e sanificazione, Linea Sterile di quello della sterilizzazione e “lavanolo”;
  • che i costi dell’operazione saranno, complessivamente, pari a 212 milioni di euro, ci sarà un contributo parziale della Regione, il concessionario potrà contare su un canone di disponibilità per ripagare l’investimento, le fonti di finanziamento impegnate (debito equity) e i servizi gestiti. I lavori, dopo l’aggiudicazione dovranno concludersi nel giro di 5 anni e 5 mesi.
  • le dichiarazioni del Sindaco Ricci che la “Regione, da qui alla fine dell’estate sceglierà”, che “quando la Regione avrà scelto, potremo vedere il progetto” e ancora che: “C’è una procedura su cui ora non possiamo entrare nel merito”.

A tutto ciò si aggiunge la proposta di legge regionale n. 145/2017 che conferma l’intento della giunta Ceriscioli di rendere più ampia e strutturata la presenza del privato convenzionato nella nostra provincia. La proposta di legge n. 145/2017, infatti, passata in commissione sanità per il voto favorevole del solo PD, con il criterio della sperimentazione gestionale sanitaria, rinnovabile fino a cinque anni, a differenza dei tre anni previsti dalla normativa nazionale, offre, su un piatto d’argento le strutture pubbliche al privato. I luoghi nei quali si avvierebbero le prime sperimentazioni gestionali con il privato sarebbero Cagli e Fano con piani generici, al di fuori di qualunque programmazione regionale, senza chiarire le ragioni del maggior coinvolgimento del privato e senza un adeguato sistema di verifica e di controllo. Una risposta sbagliata alla giusta esigenza di miglioramento e potenziamento dei servizi sanitari e socio sanitari.

Quello che non abbiamo letto e che ancora non è stato detto è, secondo noi, la base inderogabile e imprescindibile da cui si dovrebbe partire per una seria programmazione: un’approfondita e chiara analisi dei bisogni di salute dei cittadini, uno studio analitico della situazione di fatto attuale, dei servizi e delle attività sanitarie nella nostra regione, con evidenziate sia le criticità sia i punti da valorizzare, una chiara descrizione degli obiettivi da raggiungere e delle strategie e modalità appropriate per realizzarli. In pratica un vero documento di programmazione socio sanitaria.

Per l’importanza e la complessità di queste operazioni che incideranno in primo luogo sulla salute dei cittadini e, poi, in tutti i settori: economico, sociale, ambientale, le procedure e le scelte progettuali devono essere chiare e trasparenti e dovranno essere compiute con la partecipazione di tutti i cittadini, dei Comuni, delle organizzazioni sindacali e delle associazioni economiche e ambientali.

Secondo noi deve essere svolta una verifica preventiva sulla compatibilità del luogo, dove sorgerà la nuova sede unica dell’Ospedale di Marche Nord dal punto di vista ambientale e idrogeologico, devono essere messi a disposizione i contenuti progettuali del nuovo Ospedale, l’entità dei finanziamenti disponibili e/o le modalità con cui finanziarlo e tutti i documenti utili per entrare nel merito delle proposte.

Non condividiamo la scelta di realizzare il nuovo ospedale di Marche Nord attraverso il così detto project financing per la seguente ragione:

  • non realizza nessun risparmio perché i privati dovranno reperire i finanziamenti dal sistema bancario a condizioni più onerose rispetto alle fonti di finanziamento a cui può accedere la Regione (cassa depositi e prestiti, procedura dei mutui autorizzati e non contratti); i privati dovranno, inoltre, ricavare un utile;
  • la parte sostanziale dei flussi di cassa a favore dei costruttori-gestori sarà versata dalla Regione;
  • le entrate che potranno derivare al gestore da servizi extra sanitari (parcheggio, servizi alberghieri, ecc) saranno marginali ma costituiranno comunque un onere a carico degli utenti che il costruttore gestirà in regime di monopolio;
  • la Regione o l’ASL garantiranno il finanziamento mentre il privato non rischierà nulla;
  • gli oneri sono interamente a carico della Regione che dovrà pagare un canone per l’utilizzo della struttura.

Non ci sono ragioni per abbandonare le ordinarie procedure di appalto seguite per la realizzazione di opere pubbliche nelle quali gli uffici regionali che tutelano gli interessi pubblici hanno una pluriennale esperienza.

Le esperienze fatte con le operazioni di finanza derivata (Swap) dovrebbero consigliare una maggiore prudenza nello sposare acriticamente le soluzioni proposte dai privati per risolvere i problemi della pubblica amministrazione.

Deve essere verificato se per l’attuale ospedale di Fano sarà possibile mantenere una piena funzione di Pronto Soccorso dal momento che, sembra, sarà orientato alla post-acuzie. Infatti, il DM 70/2015 prevede il pronto Soccorso solo in ospedali che come minimo siano presidi ospedalieri di base con Medicina Interna, Chirurgia Generale, Ortopedia, Anestesia e servizi di supporto come laboratorio e Radiologia operativi h24 (attività che il futuro Ospedale di Fano non avrà).

L’idea che la nuova Casa di Cura privata sarà finanziata solo dal recupero della mobilità passiva nei confronti dell’Emilia-Romagna non è suffragata da alcuna analisi. Infatti:

  1. molta mobilità passiva verso l’Emilia-Romagna è storicamente per larga parte per attività chirurgiche di alta complessità(chirurgia vascolare, neurochirurgia, cardiochirurgia e cardiologia interventistica, chirurgia complessa in genere di tipo ortopedico, urologico, ecc.) ed è impossibile prevedere la possibilità di un recupero pieno della mobilità passiva a breve-medio termine da parte della nuova struttura;
  2. la struttura dovrà finanziarsi anche con la mobilità attiva che però già oggi nel privato è a tetto(anzi probabilmente già a partire dal 2017 il privato nelle Marche ha negli accordi con la Regione tetti programmati di mobilità attiva superiori a quelli che le altre regioni poi riconosceranno);
  3. se la nuova struttura lavorerà con professionisti operativi a cavallo tra Marche ed Emilia-Romagnaci sarà un effetto pingpong (finito il budget per i residenti nella struttura di una regione si completerà la lista con interventi nella struttura dell’altra regione);
  4. per diversi anni la nuova struttura aumenterà significativamente i costi del budget dei privati per i residenti senza incidere in egual misura sulla mobilità passiva e senza poter compensare del tutto con l’attiva; “
  5. il recupero della mobilità passiva, con il recupero delle risorse che vengono trasferite in altre regioni, non produce nessun risparmio se vengono direttamente versate ai privati. La motivazione che “almeno vengono finanziate attività del territorio con una ricaduta sull’economia della provincia” merita una verifica più approfondita. Va considerato che una gestione privata delle attività sanitarie per sua natura amplifica l’offerta di quelle più economicamente vantaggiose con un’esplosione della domanda (per es. effetto introduzione della risonanza magnetica o dell’intervento per cataratta) al di là di un reale bisogno nella popolazione. In questo caso la gestione completamente pubblica tende a ridimensionare il bisogno, comportando quindi una migliore gestione delle risorse con un recupero da destinare a servizi al momento carenti o assenti, soprattutto un recupero di risorse da destinate alla presa in carico dei bisogni legati alla cronicità, che sarà la vera emergenza del futuro.

Chiediamo se tutto questo è stato preso in considerazione e in quale documento sia scritto.

Ci preoccupa molto che il tema al centro della discussione non sia più quello della tutela della salute dei cittadini ma di come garantire il privato nella sanità della provincia di Pesaro Urbino.  Ci si ripropone il modello della Lombardia e del Veneto in assenza di qualsiasi analisi dei bisogni di salute e cura dei marchigiani, si programma a monte un’offerta di servizi mettendo sullo stesso piano il Pubblico con il Privato al di fuori di una qualunque forma di programmazione dal momento che il vecchio PSSR è scaduto nel 2014.

Non si considera per nulla che la percentuale delle risorse pubbliche, oggi a disposizione, riesce a coprire a mala pena i servizi necessari per i bisogni di salute della cittadinanza e si decide di convenzionarli con il privato senza alcun criterio.

Prima di qualunque decisione va presentato, discusso e approvato il nuovo Piano socio-sanitario e non capiamo questa paura di esplicitare i propri progetti nel PSSR e di rendere pubblici i dati che consentano a tutti di ragionare a partire dalla reale situazione regionale rispetto al tetto di spesa per il personale della sanità e da quelli del 2017 sulle risorse destinate al privato rispetto al 2016.

La sanità deve essere pubblica, perché:

1) il privato non ha alcun interesse a politiche di prevenzione perché il suo interesse sta nell’erogare prestazioni e nella sanità l’offerta induce la domanda;

2) la salute e il benessere delle persone passano attraverso molteplici fattori, condizioni di lavoro, di reddito, di qualità ambientale, di stili di vita, di prevenzione, di accesso alle prestazioni di base, di relazioni interpersonali, di servizi sociali e non solo attraverso l’ospedale;

  • Deve essere potenziata l’attività di controllo sui luoghi di lavoro al fine di mettere in sicurezza i lavoratori;

4) devono essere garantite condizioni di lavoro adeguate per i medici e per tutti gli operatori della sanità, la professionalità e una presenza di medici e infermieri molto preparati. Vanno create, soprattutto, le condizioni per far lavorare in sicurezza il personale sanitario, che deve essere aggiornato e motivato, e messo in grado di svolgere una professione che ha nella relazione di aiuto una componente fondamentale;

5) deve essere costruita una rete di servizi territoriali che sappia fare prevenzione e sia in grado di gestire la post-acuzie. L’unico modo per contenere la spesa sanitaria e per decongestionare i pronto soccorso e i reparti ospedalieri consiste nel predisporre servizi territoriali efficienti ed efficaci;

6) devono essere investite risorse nelle cure domiciliari, nei distretti sanitari o socio-sanitari che devono svolgere un ruolo determinante.

Tutela delle aree interne

Le aree interne devono essere tutelate, individuando misure di compensazione per coloro che vivono in aree maggiormente svantaggiate. Occorre essere consapevoli che non si può programmare niente senza un’analisi accurata delle situazioni ambientali, dei bisogni, delle patalogie e dei flussi dei ricoveri. Occorre attivare una rete di emergenza molto efficiente, in grado d’ intervenire in maniera veloce e appropriata, anche con l’utilizzo dell’elicottero, attivando reparti di lungodegenza e reparti di cure intermedie gestiti in collaborazione con i medici di base.

L’assegnazione a Cagli di 10 posti letto di lungodegenza al privato convenzionato rivela tutta l’ambiguità del comportamento del Presidente Ceriscioli e della Giunta regionale. Nel passato, infatti, erano stati dati 30 posti di lungodegenza ospedaliera che poi sono stati soppressi perchè secondo la Regione non servivano e trasformati in cure intermedie, oggi appaiono dal cilindro 10 posti assegnati al privato. Cosa si deve pensare?

Avere eliminato la funzione ospedaliera delle strutture di Cagli, Fossombrone e Sassocorvaro, aver soppresso i punti di primo intervento e aver istituito ambulatori territoriali invece dei P.P.I. (punti di primo intervento) è  stata una scelta illogica e penalizzante aggravata dal fatto di non aver potenziato gli ospedali di Pergola e di Urbino. Scelte realizzate al di fuori di un disegno complessivo che deve essere legato a una risposta strutturata a fragilità e cronicità.

L’aver trasformato gli ospedali di polo in ospedali di comunità ha rappresentato, di fatto, una spoliazione di servizi e ha comportato un peggioramento della salute e della qualità della vita degli abitanti delle zone che gravitavano sulle tre strutture ospedaliere preesistenti. Nessuno chiede il ripristino di tutte le funzioni ospedaliere del passato, ma per Cagli, Fossombrone e Sassocorvaro, in particolare, chiediamo il ripristino della situazione precedente alla delibera della Giunta regionale n. 735, il mantenimento di quel minimo di funzioni esistenti quali il P.P.I. h24, mezzi di soccorso adeguati a località montane, posti letti adeguati di lungodegenza post acuzie internistica, day surgery o ambulatorio chirurgico specialistico per piccoli interventi, diagnostica adeguata con garanzia, ove necessario, anche di reperibilità e altro.

Il taglio di posti letto è stato pesantissimo per le aree interne se si considera che tutta la provincia di Pesaro Urbino, anche dopo l’ultima delibera della Giunta regionale che ha attribuito altri 80 posti letto ai privati, con un’estensione di 2600 Km quadrati ha 2.97 posti letto per abitante, mentre la provincia di Fermo con un’estensione di 870 Km quadrati, ne ha 2,95 per abitante.

Negli ultimi dieci anni si è cercato di deprimere il valore delle strutture e degli operatori della sanità pubblica, anche quando le cose funzionavano bene, per convincere i cittadini che non si potesse fare a meno del privato nella Sanità, come dimostra il fenomeno delle liste d’attesa, con il risultato che la cura della salute potranno garantirsela in modo soddisfacente solo i ceti più abbienti che avranno una maggiore disponibilità di reddito.

Da tutta questa vicenda chi uscirà soddisfatto saranno le aziende private del settore che legittimamente realizzeranno grandi profitti.

Noi chiediamo una discussione alla luce del sole e, per quanto sarà nelle nostre disponibilità, cercheremo di farlo organizzando incontri con tutti i cittadini, i medici, gli operatori della sanità, le organizzazioni sindacali, le associazioni economiche, ambientali, sociali e di volontariato.

Chiediamo che prima di qualunque decisione si avvii il confronto e che venga approvato il nuovo piano socio sanitario, perché la salute come gli altri diritti fondamentali degli individui e delle comunità non possono essere affrontati solo sul piano tecnico, giuridico e amministrativo, elementi questi che costituiscono il mezzo e non il fine dell’attività di governo”.

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