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Anche la Scala celebra il grande Gioachino Rossini

Anche la Scala celebra il grande Gioachino Rossini

Sarà inaugurata martedì a Milano una mostra in occasione dei 150 anni dalla morte del compositore pesarese

di TONINO ARMATA

MILANO – Si sta ricordando nei teatri musicali del mondo quel 1868, 150 anni fa, in cui, il 13 novembre, nella sua villa di Passy, morì Gioachino Rossini, il sempre più attuale compositore della prima metà dell’Ottocento: aveva 76 anni, era ammalato di depressione e gonorrea, la prima moglie, la cantante Isabella Colbran era morta di sifilide, la seconda Olympe Pélissier che gli sopravvisse, pare fosse stata una cortigiana di lusso, una delle poche professioni, allora, per signore ambiziose. L’ultima sua opera, Guillaume Tell risaliva al 1829, 39 anni prima.

In suo ricordo, si inaugura a Milano, martedì 17 aprile (sino al 30 settembre) una mostra importante e non solo per i melomani, Rossini e il teatro alla Scala, curata da Pier Luigi Pizzi che nel bel catalogo edito da Treccani la spiega così “a Donatella” (Brunazzi, la direttrice del museo): “È un mio gesto di gratitudine verso un grande compositore che ha rallegrato il mio lavoro, che è sempre nuovo e obbliga chi lo affronta più volte nel tempo, a rinnovarsi. Il mondo cambia, noi cambiamo, bisogna cambiare anche l’interpretazione delle opere”. Come si vede nelle tante riproduzioni di celebri allestimenti del Mosè o dell’Otello e di quasi tutte le opere di Rossini.

Il compositore pesarese era arrivato a Milano ventenne, già grassoccio dentro gli aderenti pantaloni bianchi d’epoca, precocemente stempiato e amabilmente seduttore. In quel 1812 aveva scritto ben cinque opere, tra cui la prima per il teatro alla Scala, La pietra del paragone, andata in scena con tale successo non solo mondano da farlo esentare dal servizio militare. Milano era ancora per poco napoleonica, molto festosa ed elegante, nei saloni della Scala era ritornato il gioco d’azzardo e Rossini si divideva ufficialmente tra due signore (senza contare le altre): le privilegiate erano il famoso mezzosoprano Maria Marzolini e la principessa Amalia Belgioioso d’Este, che nel teatro, allora foderato di velluti blu (poi gialli e infine, fino ad ora, rossi), occupava il palco n.16, prima fila a destra.

Pizzi, regista, scenografo, costumista, per la mostra ricrea completamente il museo scaligero con una nuova geniale illuminazione e grandi pannelli neri, e si serve ovviamente dei suoi tesori, i tanti ritratti, dipinti sculture e dagherrotipi di un uomo sempre più malinconico, e quelli delle grandi cantanti, la Malibran, la Pasta, dei compositori del suo tempo da lui incontrati, Beethoven, Wagner, Paisiello, naturalmente dell’impresario Barbaja, che riuscì a strapparlo a Milano e a portarlo a Napoli, pare promettendogli molto denaro, carrozze e la sua stessa amante, appunto la Colbran che poi Rossini sposò: i pettegoli di allora sostenevano che essendo lui taccagno tranne che con i genitori, l’avesse fatto perché oltre che celebre, la bella signora era anche ricca. Ma poi c’è così tanta passione e cultura nel fastoso allestimento dei due piani, che pare di percorrere non una mostra ma una serie di palcoscenici scaligeri, memoria del Barbiere di Siviglia, del Turco in Italia, e di tante altre opere rossiniane, illustrate con duecento anni d’incisioni, dipinti, fotografie, ovviamente di registrazioni e video. Si passa tra i costumi incantevoli di Zeffirelli, Ponnelle, Pizzi, che vestirono nelle varie edizioni di opere buffe o serie o semiserie, non sempre in edizione critica, le Semiramidi, le Cenerentole, i conti Asdrubale e i Guglielmo Tell, la Callas e la Simionato e altre star dei decenni passati. Naturalmente trionfa la musica con i momenti fondamentali della storia del grande teatro, come ricorda nel catalogo il sovrintendente Pereira; Toscanini che nel 1946 sceglie Rossini per il concerto inaugurale dopo la ricostruzione, Gavazzeni che nel 1955 dirige Il turco in Italia con Maria Callas, Abbado che dal Rossini Opera Festival di Pesaro nell’85 porta a Milano la riscoperta di Viaggio a Reims, la cantata del 1825 composta in onore di Carlo X re di Francia, momento massimo della Restaurazione, regia di Ronconi, costumi di Gae Aulenti, e poi Muti che riporta alla loro grandezza le opere serie, e l’attuale direttore musicale Chailly che ha diretto e programmato opere rossiniane come Il turco in Italia e La gazza ladra.

Uno dei video racconta l’inarrestabile sfruttamento rossiniano, del Guglielmo Tell, della Gazza, del Barbiere, che accompagnano un fumetto di Topolino del 1935 uno recente dei Simpson, sino alla vecchia sigla dell’inizio dei programmi Rai. Pizzi, sarà in agosto al Rossini Opera Festival per il quale prepara un’edizione speciale (per la prima volta come regista) del Barbiere.

 

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