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PESARO / Al Teatro Rossini un concerto che rimarrà nella storia della musica italiana

PESARO / Al Teatro Rossini un concerto che rimarrà nella storia della musica italiana

Nell’omaggio a Fabrizio De Andrè alle canzoni di uno straordinario autore coniugato il grande jazz

PESARO / Al Teatro Rossini un concerto che rimarrà nella storia della musica italiana PESARO / Al Teatro Rossini un concerto che rimarrà nella storia della musica italiana

di PAOLO  MONTANARI

PESARO – E’ stato un evento musicale memorabile, un rito che come ogni rito si conclude in un paio d’ore, ma che rimarrà indelebile nella memoria di tanti spettatori, il teatro Rossini, gremito in ogni ordine ha ospitato, uno spettacolo dal titolo Amore che vieni e Amore che vai – Fabrizio De Andrè le donne e altre storie, prodotto da Ater (Associazione teatrale Emilia Romagna). Sul palco una band d’eccezione, con una grande vocalist, Cristina Dona’, vera anima vocale e attoriale del gruppo, ma accanto le ii nomi più importanti del jazz italiano: Javier Girotto al sax, un grande Fabrizio Bosso alla tromba, Enzo Pietropaoli al basso, Rita Marcotulli al pianoforte, che non ha fatto sfigurare rispetto  a pianisti jazz in gran parte uomini,anzi ha impresso un sound eccezionale, Saverio Lanza alle chitarre e Cristiano Calcagnile alla batteria e percussioni. Perché un omaggio al genio della Parola, come l’ha presentato al pubblico del Rossini, Cristina Donà? Perché in questa società globalizzata ,piena di pseudo mode, vi è bisogno di una musica che faccia riflettere. E si è partiti da uno dei capolavori di De Andrè, le sue canzoni sono patrimonio dell’Unesco, Amore che vieni e Amore che vai, che è stata anche la conclusione, come secondo bis di questo memorabile concerto.

L’importanza musicale di questo happening artistico, è che per la prima volta si è voluto descrivere la donna vista da De Andrè in un mixage equilibrato fra canzone d’autore e jazz. Tante, tantissime donne alcune con il loro proprio nome e altre no, ma tutte dolorosamente incantevoli e gioiosamente indimenticabili. Diverse, dalla vecchietta alla comare, dalla prostituta, alla drogata fino ad arrivare a Maria, madre di Dio, sono però tutte donne, mutevoli,variegate, esse s’aggirano, di solito con urgente dolcezza e determinazione comune, da una canzone ad un’altra, da un testo ad un altro, a formare le perle di una sfolgorante collana. Per tutte loro dalla più disgraziata a quella che perde la sua innocenza e viene violentata e muore, De Andrè sa trovare qualche parola anche con brevissime pennellate e le rende vive.

De Andrè utilizza l’ironia,il sorriso ma rispetta la donna. Anzi il suo modello di donna è quella seria ed austera. In Bocca di Rosa, vi è un racconto fiabesco, un grido struggente di speranza interpretato magistralmente da Javier Girotto e un magistrale Fabrizio Bosso, che con la sua tromba ha coinvolto scenicamente anche il pubblico. Una performace teatrale che ci fa pensare agli anni dell’avanguardia teatrale del 1960. Il mondo di  De Andrè è costituiito da figurine umane, in prevalenza femminili, e fra queste alcune sono riconducibili agli archetipi primordiali come la madre, l’amante, la prostituta e la morte.

Un tema particlare è quello della madre-sposa, dall’idea di un genio musicale francese, Georges Brassens, che si sviluppa come in un sogno, l’aspetto onirico dopo quello della Favola, in De Andrè. Ma talvolta la madre è solo invocata come nel Cantico dei drogati (1969). Vi è poi l’immaginaria Madamorè che ha perso le sei figlie tra i bar del porto. Ma come dicevo, prima sono solo figure accidentali e secondarie, che però De Andrè non tralascia, non può dimenticare. Il suo modello è la Madre, Maria che dà tutta se stessa al figlio. Il simbolo pasoliniano della Vergine Maria che come la figura umana di Gesù, diventano figure archetipiche. In Ave Maria del 1981, De Andrè scrive: “Non intendo cantare la gloria/né invocare la grazia o il perdono/di chi penso non fu altro che un uomo/come Dio passato alla storia” e ancora: “il potere…../ nel nome d’un dio/ uccideva un uomo/…poi chiamò dio/poi chiamò dio quell’uomo…”Queste pagine lasciano il segno alla tragica storia di un uomo crocefisso e il dolore della Madre. E De Andrè è affascinato da Maria che è la protagonista de La buona novella del 1970 fino alla croce. Sotto la croce si intrecciano le voci di tre madri, magistralmente interpretate da Cristina Donà e la band, accanto a Maria. Infatti piangono la morte del figlio anche le madri dei due ladroni,anzi disperate, rimproverano amaramente la Madre di Gesù perle sue troppe lacrime, per il figlio che è destinato a risorgere il terzo giorno, mentre il loro sarà morto per sempre. In De Andrè non vi è un insegnamento evangelico, ma vi è una estrapolazione del Gesù uomo, che possiamo imitare. Ma è nella replica di Mariache ritroviamo la sintesi (totale e profonda) del sentimento materno, che è legame inestinguibile ma anche essenzialmente carnale. Maria al suo destino metafisico sceglie il suo destino di madre: la madre sintetica

Il grande poeta francese Paul Eluard ha scritto: ci sono parole che aiutano a vivere e sono parole innocenti e le parole di Fabrizio De Andrè dedicate alle donne sono tutte parole innocenti: da Maria a Boccadirosa.

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