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Armando Ginesi: “La rete ed i gruppi, qualcosa sta cambiando”

Armando Ginesi: “La rete ed i gruppi, qualcosa sta cambiando”

Negli ultimi anni c’è stato un certo salto di qualità, anche se molte delle caratteristiche negative di questo modo inedito di comunicare sono rimaste

Armando Ginesi: "La rete ed i gruppi, qualcosa sta cambiando"di ARMANDO GINESI

IL 26 GIUGNO 2012 PUBBLICAVO LA SINTESI di una breve indagine sociologica compiuta su alcuni gruppi di Facebook. Analizzandola oggi si può constatare che qualche cosa è cambiato in meglio, nel senso che c’è stato un certo salto di qualità, anche se molte delle caratteristiche negative di questo modo inedito di comunicare sono rimaste. Per cui, molto spesso, più che di un dialogo si tratta di un monologo aperto a tante stranezze ed arroganze.

“Mi sono trovato iscritto a diversi “gruppi” di Facebook. Ne ho scelti alcuni, quelli che mi incuriosivano di più o con i quali pensavo di trovare (almeno stando alla denominazione) una certa comunanza di interessi. Per esempio, uno dei primi a cui ho dato l’adesione (anzi il primo e l’unico a cui ho richiesto io la partecipazione, perché a tutti gli altri ho aderito dietro sollecitazione), portava il mio stesso cognome. Mi piaceva l’idea di potermi collegare con altri “Ginesi” sparsi in Italia e nel mondo. E dal momento che qualche ricerca storica sulla mia famiglia l’ho svolta, nel corso degli anni (ma più di me lo ha fatto mio fratello, Aroldo, vero appassionato di storia araldica, il quale, consultando archivi comunali e diocesani, è riuscito a rintracciare, con documenti certi, la nostra origine a partire dalla seconda meta del Milleseicento – ricostruendo, da allora, l’intero albero genealogico e ad ipotizzare – sulla scorta di alcuni documenti e del parere di un valentissimo storico, ora scomparso, come Febo Allevi – la provenienza arretrata di una paio di secoli, a metà del Quattrocento) ho fornito, all’interno del gruppo, diverse volte, le informazioni storiche acquisite a quanti scrivevano cercando di conoscere la propria origine. Molti Ginesi, in Italia, sono allocati in Liguria, nello Spezzino, nella confinante Apuania in particolare e non è impossibile che tutti appartengano al medesimo ceppo quattrocentesco derivante da San Ginesio, nelle Marche, da dove, nel 1450 circa, vennero cacciati (o perché ebrei o perché alleati del Duca di Varano, il nemico camerte). Costoro si diressero in Toscana per mettersi sotto la protezione della potente repubblica di Siena.
Ho anche potuto rintracciare un parente in Messico ed un altro non ricordo in quale parte d’Italia. Il gruppo in questione è però molto statico. E’ fermo da tempo a poco più di una cinquantina di componenti i quali praticamente non dialogano. Ritornerò a riferirmi al gruppo “Ginesi”, perché esso è stato il primo che mi ha suggerito l’idea di effettuare una sorta di esperimento socio-antropologico allo scopo di valutare alcuni comportamenti che la nuova metodologia di comunicazione scaturita dalla tecnologia avanzata determina nei soggetti coinvolti. Tutto ebbe inizio una mattina allorché mi accorsi, per la prima volta, che nel mio “stato” (così come in tutti gli altri, ovviamente) era pubblicata una domanda: “A che cosa stai pensando ?”. Mi venne spontaneo rispondere, con un intento vagamente ironico: “Che domani è un altro giorno”. E se questa risposta, mi domandai, la inoltrassi a tutti gruppi, là dove c’è l’invito: “Scrivi qualcosa” ed ogni giorno riuscissi ad inviare una massima, un aforisma, un pensiero mio o di altri (filosofi, scienziati, santi, scrittori, teologi, poeti, giornalisti, politici, economisti e via dicendo), per dar modo ad ogni ricevente di riflettere a trecentosessanta gradi sulle varie sfaccettature dell’esistenza, da quelle più profonde a quelle più leggere, stimolando ognuno alla libera cogitazione ? A volte proponendo temi seri, a volte ironici e divertenti (si riesce, spesso, a pensare seriamente più attraverso l’ironia e lo scherzo che la seriosità). Risposi a me stesso: ci provo e vediamo quel che succede.
Successe che, pian piano, coinvolgendo nove gruppi per un totale di circa 5600 componenti, incominciai a ricevere risposte, sempre più numerose. Il dialogo prese il via, da nord a sud d’Italia, con qualche riscontro anche dall’estero.
Un giorno, dopo aver letto un articolo sulla diminuzione del numero delle rondini e sul loro ritardo nell’arrivare, secondo le antiche prassi, mi ricordai del vecchio adagio popolare: “Una rondine non fa primavera”. La inviai a tutti i gruppi con l’aggiunta di una mia considerazione: “E due?”. Ancora una volta – come a me capita sovente – ero ricorso all’ironia; lieve, sussurrata, non gridata. Niente cazzotti, insomma, ma carezze alle meningi. Almeno questo voleva essere il mio intento. Solo che questo mio innocente intervento non risultò gradito a tutti. E incominciarono a rivelarmisi anomali comportamenti che mi rafforzarono nella convinzione di continuare l’esperimento perché esisteva la possibilità di vederne e sentirne delle belle. E qui debbo ritornare al gruppo “Ginesi” che aveva già registrato una manifestazione dell’amministratore (credo si chiami così) che io avevo interpretato come “strana”. Costui, infatti, accortosi che era nato un altro gruppo intitolato “Ginesi in the world” (questo molto dinamico, gestito, tra l’altro, da un mio caro amico che ha saputo farne una tribuna viva di discussione tra “parenti”, ma anche tra “parenti” e il mondo), si risentì per la venuta alla luce del nuovo sodalizio virtuale, lo scrisse a chiare lettere rivendicando il diritto ad una sorta non tanto di primogenitura ma di unicità, sentendosi autorizzato (da chi?) ad essere titolare dell’unica compagine rappresentativa dei “Ginesi” ovunque residenti. Comportamento “strano”, lo ripeto, che di lì a pochi giorni, ebbe un’altra reazione anomala. Anticipato da un altro aderente (il cui cognome, peraltro, non era “Ginesi”, quindi probabilmente un acquisito) il quale , in uno dei pochissimi interventi in un gruppo che ho già definito “statico”, se l’era presa con me scrivendo: “sinceramente i suoi interventi non li capisce nessuno”. Dichiarazione preoccupante, non per me, ma per lui, tra l’altro rivelatrice di un egotismo piuttosto rilevante: il soggetto, infatti, si faceva portavoce di tutti gli aderenti ed oltre: quel “nessuno” categorico non ammetteva dubbi. Non capisco io e quindi nessun altro è in grado di capire. Come dire: se non ci arriva la mia intelligenza geniale…. Andai a consultare il profilo di costui e lessi :”Ha studiato presso l’Università di Urbino”, senza dire che cosa. Forse è meglio così (speriamo sia stato un corso serale, post lavoro) Per il decoro di quell’ateneo.
L’amministratore non ha perduto la succosa occasione e si è affrettato a spalleggiare il collega: “In questo sito si dovrebbe parlare della nostra famiglia e non di tutti questi detti inutili”. La “nostra famiglia”, dice. Lui è convinto che portare lo stesso cognome significhi automaticamente appartenere alla stessa famiglia. Interessante: Freud ci rifletterebbe sopra, soprattutto il Freud di “Totem e tabù”. Poi, dall’alto della sua “saggezza” mi dispensa un suggerimento, quello di aprire una pagina appositamente dedicata ai miei aforismi (ma non erano inutili? E allora che senso avrebbe dedicare loro addirittura una pagina?). Io gli rispondo: “Grazie del consiglio. Non ci avevo pensato: sa, mancanza di esperienza”. Che lo abbia colto il pizzico d’ironia in quel “mancanza di esperienza”? Per carità. Anzi, orgoglioso di aver dato un suggerimento utile risponde a giro di posta con un “prego” che più sussieguoso non poteva essere. Anche di costui vado a vedere il profilo il quale mi informa che il soggetto “studia informatica presso l’Università di Pisa”. La gloriosa Università di Pisa, ci pensate?
Ma la reazione più scomposta l’ha avuta qualche membro di un gruppo di 177 aderenti la cui denominazione accenna allo scambio fra coloro che “compongono” (sotto il profilo artistico in genere, ma letterario in specie: scrittori, insomma, e poeti). Due di essi, soprattutto, un uomo e una donna, hanno dato ripetutamente segni che, a mio modesto parere, potrebbero interessare la medicina della psiche (scegliete voi se psicologia clinica o psichiatria). Lei è svagata, pensa, scrive (presumo anche che parli), con nonchalance, bamboleggia (un po’ dannunziana, un po’ Eleonora Duse e Francesca Bertini, anche se si dichiara mazziniana; ma poi è anche buddista – non dice se dell’Hinayāna, del Mahāyāna o del Vajrayāna, ammesso che sappia in che cosa consistano le differenze – infine si definisce socratica. Per citare ancora la psicologia clinica, “un’insalata di idee e di parole” (forse più le seconde che le prime). Le sue argomentazioni sono sconclusionate (e come potrebbero non esserlo, visti gli ingredienti buttati a spaglio nel suo pensiero a-strutturato); fatica a capire quel che legge e quindi, ogni volta che risponde, lo fa a sproposito. Lui, presuntuoso quanto e più di lei, è il ritratto vivente della cafonaggine. Ebbene questa coppia virtuale (forse, dopo essersi incontrati nelle vie virtuali, potrebbero farlo anche in quelle fisiche, finendo o per accoltellarsi o per amarsi alla follia….follia, appunto, e non in senso erasmiano) me ne ha scritte di tutti colori: intanto che sono un vecchio di tremila anni; che mi credo un grande intellettuale quando invece sono un grande ignorante (ve la ricordate la favole del bue che dice cornuto all’asino?): che non ho niente da fare tutto il giorno e dunque mi diverto con facebook (dal momento che avevano il computer sotto il naso avrebbero potuto fare una ricerca facile facile, magari su Google, Wikipedia e tante altre cose che loro conoscono meglio di me, per scoprire se ho da fare oppure no); che scrivo solo le parole degli altri facendole credere mie (non distinguono le citazioni: se sapessero che sto scrivendo un libro, il cui titolo sarà “Pensieri pensati”, in cui commento i pensieri altrui, è roba che gli viene un colpo apoplettico, sia alla svagata che al cafone matricolato). Lei, nella sua semi-schizofrenia si qualifica come abitante dall’altra parte del globo e poi risulta che lavori nelle Marche; dice di parlare una infinità di lingue, compresi alcuni dialetti africani. Lui, in parte, ne segue lo schema, perché si attribuisce la conoscenza di molte lingue fra cui “il folignate”. Si vanta di essere laureato in lettere moderne e quindi sostiene con protervia di essere capace di leggere e di scrivere; in realtà, nei fatti, risulta che non abbia un ottimo rapporto né con il dizionario della lingua italiana né con tutte le regole grammaticali e sintattiche. Ma questo non esclude che sia laureato davvero, visto come, dal 1968 ad oggi, si conquista il diploma di fine corso di certi atenei italiani.
Ma la cosa veramente preoccupante non è data dall’esibizione egocentrica e cafona dei due personaggi, quanto dal fatto che, all’improvviso, il gruppo che ha ospitato la loro prosa gratificante (e le mie risposte a tono) è sparito dal mio elenco dei gruppi di appartenenza né mi è stato più possibile ritrovarlo su facebook. Io di queste tecnologie elettroniche non ne capisco un’acca, ma degli esperti mi hanno detto che sono stato “radiato” dal gruppo e mi è stato di fatto impedito – chissà con quale motivazione ufficiale – di poterlo mai più contattare. Alla faccia della tanto conclamata libertà della rete che dovrebbe, in particolare, stare molto a cuore ai componenti del gruppo in questione dal momento che si definiscono tutti scrittori e poeti. Qualcuno autentico ce n’è, logicamente, ma molti sono sfigati, frustrati e quando li tocchi sui nervi scoperti danno di matto con le parole che, come si sa, possono fare più vittime della spada.
In un altro gruppo che ha sede in Alto Adige, una signora (si fa per dire), prendendo spunto dalla mia citazione di un’omelia di Paolo VI del 1972 sul fatto che il fumo di satana si è introdotto, attraverso qualche fessura, nel tempio di Dio, in riferimento a certi recenti fatti accaduti nei sacri palazzi, quasi fosse stata morsa da una tarantola, mi si è scagliata contro dicendo che lei è atea, che non gliene frega niente dei problemi della Chiesa, di tutte le questioni religiose, di Satana e di tutto ciò che riguarda Dio e dintorni. Pertanto pretende che non si parli più di queste cose nel gruppo. Classico comportamento di chi si dichiara ateo, cioè senza Dio, e poi pone il tema di chi sostiene sia inesistente al centro del proprio argomentare, sempre con livore, con rabbia, quasi temesse di essere contaminato da esso, dimostrando, in sostanza, una superstizione senza limiti. A questa tarantolata (che fosse indemoniata davvero?) ha risposto seccamente il responsabile del gruppo (pubblico, non privato) dicendo che in esso c’era spazio per tutte le idee, condivise o meno. Meno male che Voltaire, qualche volta, riappare in questo mondo confuso di parole pronunciate a ruota libera.
A conclusione di questa mia esperienza di incontro virtuale con amici virtuali credo di poter trarre qualche considerazione sul fenomeno dei gruppi dicendo che:
– contrariamente a quanto sostengono di voler essere, cioè palestre ampie di pensiero, sia pure aggregate attorno ad un nome, un ideale, un qualsiasi obbiettivo, in realtà esse si manifestano, non sempre ma per lo più, come consorterie, clan, “masi chiusi”, cosche si direbbe con linguaggio mafioso. Rappresentano sostanzialmente una regressione verso modelli sociali di natura tribale di cui il gruppo costituisce una specie di totem, con l’aggravante, rispetto ai prototipi originali, che ogni membro tende a sentirsi esso stesso totem, originando quindi, in nome di una unità presunta, di fatto, una anarchia corrispondente alla somma di molteplici individualismi esasperati;
– gli amministratori, o gestori, o comunque li si chiami, i responsabili, insomma, dei gruppi, si ritengono per lo più i soli, unici, esclusivi proprietari degli spazi, con l’esito di contrastare chi non la pensa come loro e di reprimere il dissenso;
– i gregari – molto spesso passivi e di livello culturale medio modesto o men che modesto – seguono i gestori in questo malvezzo e rifiutano, quasi sempre, stimoli a pensare, trovando la cosa noiosa o inutile o deviante rispetto al loro presunto interesse di clan;
– l’ignoranza è piuttosto diffusa e si esprime prevalentemente attraverso povertà di argomentazioni; lessico ridotto ai minimi termini; incapacità – come recentemente ha sottolineato il noto linguista Tullio De Mauro riferendosi alle modalità del pensare giovanile – di connettere le idee alle parole e viceversa, nonché le stesse idee fra loro, sicché il pensiero espresso risulta molto spesso primitivo, grossolano, incapace di cogliere le sfumature e ogni tono intermedio, nonché impossibilitato a penetrare negli interstizi logici;
– in positivo si trovano soggetti poco scolarizzati che forniscono esempi di notevole saggezza (ne ho conosciuto uno che, in senso etimologico, può essere definito ignorante (che ignora), il quale con gli studi non è andato oltre la terza media, ma che sprizza vivacità di pensiero, voglia di sapere, curiosità e che sa distillare gocce di sapienza empirica) mentre, al contrario, molti diplomati e laureati (almeno così dicono di essere) palesano livelli di ignoranza tali da far preoccupare – e non poco – circa l’efficienza e le modalità d’insegnamento della scuola italiana di ogni ordine e grado.
In sostanza molti appartenenti ai gruppi di facebook si ubriacano della possibilità che la tecnologia consente a chiunque di esprimere – coram populo – il proprio parere e trasformano tale possibilità nel privilegio, che diventa un abuso, di parlare e di sparlare, di diffondere non verità, ovvietà, talora bestialità, e per giunta con prosopopea, protervia, arroganza.
I gruppi favoriscono – soprattutto nei soggetti culturalmente e psicologicamente più deboli (stando almeno ai dati forniti da coloro che dialogano: potrebbero esserci poi maggioranze più dotate e silenziose; ma se così fosse ci sarebbe da chiedersi il perché lo siano, tanto silenziose) – un sentimento “sacrale” di appartenenza ad un sodalizio di eletti, una specie di sacerdozio che li mette in condizione di poter manifestare tutto, senza pudori, fossero anche le più sonore e conclamate stupidaggini.
Ma perché non si creda che io abbia concluso questa esperienza con esisti soltanto negativi, debbo aggiungere, in coscienza, che l’esperimento mi ha fatto conoscere molte persone degne, intelligenti, rispettose, ragionevoli, curiose e quindi potenzialmente colte. Oltre ad alcune pienamente colte. Il guaio è che – almeno questa è la mia netta impressione – tali soggetti positivi costituiscono la minoranza del variegato mondo dei gruppi facebook. Mentre la maggioranza degli “iniziati”, come tutti quelli convinti di essere degli eletti, si considerano depositari di verità segrete, indiscusse e indiscutibili. Di costoro, poi, è emerso un altro drammatico aspetto: non inclinano verso l’ironia; non percepiscono le sfumature ed i toni intermedi, sicché, in maniera manichea, per loro o si sta di qua (col gruppo) o di là (col profano, l’estraneo); non vedono che il bianco e il nero sfuggendo loro la gamma infinita delle tonalità grigie. In questo, forse, rappresentano, tutto sommato, lo specchio di una realtà, quella italiana, che da sempre è lacerata tra Mario e Silla, i guelfi e i ghibellini, i fascisti e gli antifascisti, i comunisti e gli anticomunisti, i clericali e i laicisti e, da ultimo, i berlusconiani e gli antiberlusconiani. Dunque lo specchio di una realtà in cui c’è di tutto e di più. Anche di peggio”.

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