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Pesaro, per il Rof si pensa già ad un futuro più tradizionale

Pesaro, per il Rof si pensa già ad un futuro più tradizionale

Pesaro, per il Rof si pensa già ad un futuro più tradizionale Pesaro, per il Rof si pensa già ad un futuro più tradizionale

di PAOLO MONTANARI

PESARO – Un bilancio sicuramente positivo per questa edizione del  Rossini Opera Festival, che con il grande concerto di Florez in omaggio ai suoi venti anni di carriera, chiude i battenti. Presenze record, soprattutto stranieri e qualche cambiamento di rotta, dopo le regie avanguardistiche degli ultimi anni, a finire quest’anno con quella di  Livermore per il Turco in Italia, felliniana e talvolta roccambolesca. Infatti perl’edizione del 2017 Il Rof vedrà, dopo tanti anni di assenza uno dei grandi del teatro lirico italiano, Pier Luigi Pizzi, che riprenderà la regia de LA PIETRA DI PARAGONE, in una nuova produzione, per necessità di arricchire l’apparato scenico. L’opera sarà diretta da Daniele Rustori. Certamente la presenza di Pizzi a Pesaro, conferma un voler forse tornare agli anni d’oro del Rof, dove l’allestimento scenico andava di pari passo con la musica di Rossini. Una conferma è anche la ripresa sotto la regia di Mario Martone di TORVALDO E TODISKA,ambientazione silvestre, prodotta nel 2006. L’unica novità in senso strettamente sperimentale sarà l’allestimento de LA SIRGE DE CORINTHE, in  versione francese, da parte della compagnia catalana La Fure dels Bans con la direzione di Roberto Abbado.

Abbiamo a tal proposito intervistato il maestro Alberto Zedda, per sentire quali sono le nuove o possibili tendenze tradizionali delle messe in scena delle opere rossiniane.

“Vede, un festival come il Rof, come tutti i grandi festival internazionali, deve esprimere novità, che possono derivare soprattutto dalla regia, dagli allestimenti scenografici. L’importante che questi

aspettino vadano ad intaccare la musica di Rossini. Anzi occorre che vi sia un giusto equilibrio fra queste componenti. Quest’anno è stata ripresentata La donna del lago, in una nuova coproduzione con

Opera Royal de Wallonie-Liege. La regia di Damiano Micheletto, nonostante il grande spirito innovativo del noto artista, è stata profondamente equilibarata con un libretto e la musica che sono ispirati alla letteratura, filosofia e poesia romantica tedesca, dello Sturm und Drang. Un’opera che ancora una volta evidenzia il miracolo rossiniano di poter conciliare la ricchezza dei sentimenti umani con gli accenti panteistici fino ad arrivare al dolore e alla morte. Un’opera che ha una struttura formale, vocabolario semantico che tendono verso tematiche nuove. Perché per tanti anni la Donna del Lago, è stata rimossa dal repertorio rossiniano? Me lo sono chiesto tante volte e sono arrivato ad una conclusione: vi è stato per anni una specie di repulsione per ciò che di romantico, inteso come contenuto, vi era nella musica rossiniana. Ora invece si è aperta una nuova fase, anche se la Donna del Lago non è un’opera facile da intendere ai nostri giorni, nonostante la familiarità con i concetti di ambiguità. Metafora e astrazione. L’inestricabile intreccio di passato e futuro che avviluppa l’opera rossiniana rende difficile il compito di tradurne le emozioni, a noi come a i contemporanei passati in poco più di un decennio dalle acclamazioni deliranti all’oblio. E la< funzione della musica di Rossini rispetto al testo letterario, al di là della letteratura di Scott, è fondamentale in quest’opera, perché accende di afflato poetico espandendoli all’infinito’’.

Anche in Ciro in Babilonia, altra opera in cartellone al Rof del 2016, ritroviamo questo connubio fra elementi innovativi e connotati tradizionali. Ne parliamo con la protagonista, Ewa Podles.

“E’ per me questo personaggio, uno dei più cari della mia attività artistica. La ripresa dell’opera diretta da Livermore nel 2012, mi ha dato una grande soddisfazione, perché le suggestive sequenze chiaro scurali, cinematografiche si sono inserite nel tessuto musicale e vocale dell’opera. Ai tempo della conquista di Babilonia, Ciro era già un uomo maturo, che come me aveva vissuto più di mezzo secolo. Questo è il motivo per cui ho deciso di accettarne il ruolo senza preoccupazioni né ripensamenti. Ciro non è la creazione immaginaria di un librettista, ma un personaggio storico che ha lasciato una traccia importante della sua presenza nel mondo. Fu una personalità ricca, che lasciò la libertà religiosa e le proprie tradizioni ai popoli conquistati; e infine è lui che è considerato il primo autore nella storia di una specie di disegno di legge per i diritti civili. Questo è il Ciro che ho voluto interpretare’’.

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