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PESARO / Con il Trio di Parma una raffinata guida all’ascolto di Beethoven

PESARO / Con il Trio di Parma una raffinata guida all’ascolto di Beethoven

PESARO / Con il Trio di Parma una raffinata guida all'ascolto di Beethoven PESARO / Con il Trio di Parma una raffinata guida all'ascolto di Beethoven PESARO / Con il Trio di Parma una raffinata guida all'ascolto di Beethoven

di PAOLO MONTANARI

PESARO – E’ stato uno dei concerti cameristici più raffinati degli ultimi anni, quello presentato dal Trio di Parma al teatro Rossini, nell’ambito del cartellone dell’Ente Concerti di Pesaro. Il programma prevede l’esecuzione dei trii per archi e pianoforte di Beethoven nella programmazione dei teatri di Ancona,Pesaro e Macerata, nell’ambito della Produzione “Marche Concerti’. Il di Parma si è costituito nel 1990 presso il Conservatorio Arrigo Boito e successivamente si è perfezionato con il Trio di Trieste presso la Scuola di Musica di Fiesole e l’Accademia Chigiana di Siena. Oltre ad una intensa attività didattica, il Trio di Parma è stato invitato dalle più importanti istituzioni musicali nazionali e straniere ed ha collaborato con importanti musicisti quali Vladimir Delman, Carl Melles, Anton Nanut, Hubert Soudant, Pavel Venikov e Bruno Giuranna. Nel 2011 ha pubblicato un CD monografico dedicato a Liszt e la registrazione dal vivo dell’integrale dei Trii di Schumann, di cui ha suonato nel concerto pesarese, il secondo movimento, del n.2 nel bis concesso ad un caloroso pubblico.

Ma veniamo al bellissimo concerto beethoveniano. Il Trio di Parma, composto da Ivan Rabaglia al violino, Enrico Bronzi al violoncello e Alberto Miodini al pianoforte, ha presentato per primo Dieci variazioni in solo minore poi maggiore sul lied “Ich bin der Schneider Kakadu” dal op. Die Schwestern von Prag di Wenzel Muller op.121. Beethpven trascrisse per per il suo trio questo brano da una operetta piuttosto popolareUn’opera bizzarra quasi dispettosa, che si risente anche nelle variazioni beethoveniane. Dopo una introduzione: Adagio assai, con una gigantesca e tenebrosa virata musicale, Beethoven, vira come uno esperto skipper, verso l’Allegretto con variazioni, passando dal solo minore al sol maggiore, e la musica assume tonalità buffe, perché racconta la storia di un personaggio che si chiama Kakadu, E tuttavia nelle dieci variazioni che si susseguono,quell’ombra iniziale talora ritorna, come un breve detrito di memoria, “a spezzare un andamento soprattutto ornamentale e un pò meccanico”.

Nel secondo brano in programma il Trio in mi bemolle maggiore po.1. n.1 , suddiviso in quattro movimenti, dopo la fantasia musicale espressa magistralmente dal Trio di Parma, gli strumentisti hanno confermato la raggiunta solidità formale nel rispetto dei codici del tempo e vengono evidenziati i due temi contrastanti ijn cui si sviluppa il primo movimento secondo i canoni della forma-sonata. Nell’Allegro iniziale viene fuori dirompente la personalità di Beethoven. Una tensione e la marcata sonorità si sviluppano e creano una tensione che non svanisce nell’Adagio cantabile, in cui si interrompe quella trama rassicurante tracciata dal pianoforte. Il movimento diventa più frammentato e le frasi si interrompono e sorge una nuova inquietudine. “La tendenza all’eccentricità dell’invenzione tematica e ritmica e il gusto per la sorpresa, che Beethoven erediterà da Haydn, è ostentato con giovanile sfrontatezza”.. Infine il capolavoro di Beethoven:

Trio per archi e pianoforte n. 5 in re maggiore, op. 70 n. 1

“Ghost Trio” (I fantasmi)

Musica: Ludwig van Beethoven

  1. Allegro vivace e con brio
  2. Largo assai (re minore)
  3. Presto1

Nel 1808, anno di straordinaria fertilità nel quale furono ultimate la Quinta e la Sesta sinfonia, Beethoven torna a scrivere un’opera completa e originale per archi e pianoforte, a quasi quindici anni di distanza dall’op. 1. Nascono così i Trii op. 70, due composizioni intensamente romantìche che, per il loro contenuto espressivo e la genialità inventiva che travalica anche le scelte dell’architettura formale, costituiscono, con il Trio «Arciduca», una delle punte più alte di tutta la produzione cameristica beethoveniana. Eseguiti in «prima» nel 1809 presso la casa della contessa Anna Maria Erdöty, una delle aristocratiche mecenati di Beethoven, i due Trii furono a lei dedicati suscitando, a quanto pare, un certo risentimento da parte dell’arciduca Rodolfo, a cui Beethoven dovette porre rimedio due anni dopo dedicandogli l’op. 97.

Il Trio n. 1, di soli tre movimenti, presenta un primo tempo (Allegro vivace e con brio) breve ma assai denso di contenuti, che si apre con un gioco di contrasti tipicamente beethoveniano tra due elementi nettamente distinti del primo gruppo tematico. Sulla scena irrompe un vigoroso stacco introduttivo dei tre strumenti, che si interrompe improvvisamente su una nota estranea alla tonalità (fa bequadro). Questa stessa nota viene raccolta dal violoncello, che la prolunga per due battute come un filo teso su una tonalità lontana, per poi riportarsi in re maggiore con una melodia cantabile e appassionata esposta dagli archi e poi sottoposta a elaborazioni modulanti. Una citazione dello stacco introduttivo si stempera quindi in un andamento ondulatorio degli archi che confluisce direttamente nel secondo tema, con il pianoforte che muove delicati accordi dal ritmo puntato. Nello Sviluppo Beethoven scompone il primo gruppo tematico in tre frammenti che, come per gemmazione, si dilatano dando forma a tutta la sezione centrale. Ecco quindi un breve intreccio imitativo del tema introduttivo, mentre della parte melodica del tema vengono rielaborati separatamente la prima e la seconda battuta.

Al termine, un ulteriore episodio contrappuntistico generato dal tema introduttivo porta alla Ripresa, nella quale l’autore sembra voler aggiungere all’ultimo momento un’ulteriore sezione di Sviluppo. Dopo quattro battute della parte melodica del primo gruppo tematico la riesposizione si arresta; torna nuovamente lo stacco introduttivo in modo minore, seguito da una nuova elaborazione modulante dello stesso tema melodico. Quando riascoltiamo la conclusione del ponte modulante e il secondo tema trasposto in tonalità di tonica, è segno che la Ripresa è tornata nel suo alveo tradizionale, portata a compimento da un’ulteriore coda conclusiva.

Il Largo assai ed espressivo, dal quale deriva il sottotitolo «Spettri», si apre in un’atmosfera soffusa, quasi irreale. Tre note cantate sottovoce dagli archi, seguite da un inciso con un abbellimento terzìnato del pianoforte, fanno da preambolo a un canto melanconico e struggente degli archi (secondo tema). Dopo un breve interludio pianistico, riappare lo spunto iniziale che Beethoven fa fiorire lentamente nella serenità del modo maggiore, con appassionate reiterazioni dell’inciso tezinato da parte degli archi. Un lungo e ostinato borbottìo del pianoforte porta a una citazione dei secondo tema, seguita da un intenso fortissimo basato sull’inciso terzinato; il percorso compiuto viene poi rivisitato con alcune consìstenti varianti. Nell’ultimo episodio vengono inoltre aiggiunti due nuovi elementi: un fìtto ribattuto degli archi e una scala cromatica discendente del pianoforte, mentre nella coda conclusiva Beethoven sorprende gli ascoltatori con una successione armonica inattesa, quasi quanto i tre accordi pizzicati finali.

Il primo tema del brillante Presto conclusivo è dato da due energici stacchi in crescendo (A), ai quali risponde un fraseggio più dolce ed espressivo (B). Un rapido saliscendi di arpeggi pianistici su cui dialogano gli archi è invece il ponte modulante che porta al secondo tema: un delizioso botta e risposta tra violino e violoncello, che si fa progressivamente più incalzante per poi cadenzare con un rapido movimento ascendente. Un accenno al primo tema e una seconda ascesa cadenzante lasciano spazio a un delicato filo di note della mano destra del pianoforte, che portano a un’ulteriore enunciazione del primo tema. Una vigorosa progressione di un frammento del primo tema, seguita da rapidi movimenti arpeggiati, conclude quindi l’Esposizione, che viene interamente rìtornellata. Lo Sviluppo si apre con un breve prolugamento degli arpeggi di fine Esposizione, che si stempera nel riecheggiare di un frammento del primo tema (B). Un pedale di dominante, sul quale il primo tema viene rielaborato a terzine, porta in crescendo a una Ripresa canonica (con il secondo tema nella tonalità d’impianto) e a una delicata coda conclusiva con accordi pizzicati degli archi, su ulteriori reiterazioni dì frammenti

(Le foto sono di MARTA FOSSA)

 

 

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