LE MARCHE DA RICOSTRUIRE / I giovani terremotati vorrebbero continuare a coltivare i loro sogni nella loro terra
LE MARCHE DA RICOSTRUIRE / I giovani terremotati vorrebbero continuare a coltivare i loro sogni nella loro terra
Ma da Visso e da Ussita, due tra i centri più colpiti dal sisma, tanti ragazzi sono costretti a partire alla ricerca di un lavoro. Destinazione: le nevi della Valle d’Aosta
di TONINO ARMATA
IL TEMPO CHE I TRENTENNI STANNO VIVENDO è catastrofico, e nella zona terremotata del Centro Italia è ancora peggio. Anche perché nessuno li ha avvertiti che in quest’epoca in cui a studiare sono sempre in meno e le professioni si sono progressivamente assottigliate a partire proprio dagli anni della loro nascita. I fattori sono tanti: molte industrie familiari, morto il fondatore, sono state vendute a compagnie straniere che hanno subito provveduto a ridurre il personale, o addirittura a chiuderle per togliere dal mercato un concorrente. I diplomi, che un tempo abilitavano subito al lavoro, sono stati sostituiti dalle lauree che hanno spostato di cinque o sei anni (quando va bene) l’ingresso nei vari impieghi. Nel frattempo i giovani sono vissuti sulle spalle dei genitori erodendo la loro ricchezza e perdendo la propria autostima. I progressi della medicina hanno spostato di venti o trent’anni il ricambio generazionale, con costi significativi per il mantenimento di un’interminabile vecchiaia, e conseguente riduzione dei beni da ereditare. Insomma, peggio di così per la loro generazione non poteva andare, anche perché, a differenza di quelle che verranno dopo non nutrono alcuna illusione; nessuno li aveva preparati.
Lorenzo oggi si è alzato prima del solito. È uscito dal bungalow dove vive da un mese e ha preso la macchina per andare dal barbiere: da oggi inizia a cercare lavoro. Non se li taglia dal 26 ottobre, i capelli: da quando il terremoto che ha scosso il Centro Italia gli ha portato via la casa e il bar di famiglia e l’ha costretto a vivere con altri 240 sfollati al camping Le Mimose, a Porto Sant’Elpidio, sulla costa adriatica.
Nel centro di Visso, il suo paesino sulle montagne marchigiane, adesso si può entrare se accompagnati dai vigili del fuoco. Solo i gatti hanno il permesso di camminare indisturbati. Tra un paio d’ore Lorenzo sarà in viaggio, con un amico, diretto verso l’alta Italia, come la chiama lui. Destinazione Valle d’Aosta. È uno dei tanti giovani sfollati marchigiani a cui il terremoto ha tolto tutto, ma che hanno deciso di reagire lasciando la propria terra. Con l’ottica, prima o poi, di ritornare.
Lorenzo, 33 anni, non nasconde l’amarezza. «Il terremoto mi ha tolto la casa, il lavoro, il patrimonio artistico del territorio. Perfino le montagne. Non m’ha ammazzato, ma m’ha preso tutto». Vive con i genitori in un bungalow di 20 metri quadri ma, dice, non ha senso piangersi addosso. Nel bar, aperto mezzo secolo fa dalla madre e dal nonno, potrà entrarci tra un decennio. Sette anni a essere ottimisti. «Nel frattempo spero di essermi già fatto una vita, una famiglia. Forse lontano da qui». Il legame con la sua terra è viscerale. Conosce la storia di ogni palazzo, via, angolo, cunicolo di Visso, complice anche una laurea magistrale in Diagnostica per i beni culturali. «Io starei qui, ma adesso non ha senso. Piuttosto che rimanere fermo ad aspettare, mi faccio un’esperienza di qualche mese come barista in Valle d’Aosta, che è una zona turistica. Lì il lavoro non manca».
Passa a prenderlo Francesco, di Castelsantangelo sul Nera. Vanno al Nord insieme, la macchina piena di bagagli. Lui, a Valle d’Aosta, ha già trovato lavoro come cameriere in un ristorante. L’unione fa la forza, aiuta a prendere coraggio. In Valle d’Aosta ad aspettarli c’è un altro amico, Leonardo. È di Ussita, uno dei comuni più colpiti dal sisma. Ogni anno, d’inverno, scappa al Nord sulle montagne per fare l’insegnante di sci, poi torna a casa l’estate per noleggiare biciclette ai turisti. Adesso però qualcosa è cambiato. «Io non tornerò più qui con la mia attività. Cosa faccio? Affitto bici in un container? E poi, ci saranno turisti dopo quello che è successo? Per ora voglio lavorare da dipendente, senza pensieri».
Nelle sole Marche al momento ci sono 25mila sfollati, spalmati sulla costa, lontano dalla terra che non vuole smettere di tremare. Campeggi, hotel, resort sono pieni di persone che non possono rientrare a casa e stanno aspettando i moduli abitativi messi a disposizione dalla Protezione Civile. Ci vorranno mesi per sistemare tutti, si parla della primavera prossima. L’inverno è ormai perso, ma la strada, anche dopo, è tutta in salita.
Questi paesini vivono di turismo. Un esempio su tutti: Castelsantagelo sul Nera. Ha 281 abitanti e 2.500 seconde case. Il Comune ha fatto una stima: in estate arriva a ospitare 4mila turisti. Se l’anno prossimo sarà un cantiere aperto, chi ci tornerà?
Il terremoto ha colpito soprattutto le piccole imprese di famiglia. Per loro non ci sono cassa integrazione e disoccupazione. Giorni senza lavoro equivalgono a giorni senza stipendio. È importante mettersi subito a cercare qualcos’altro, per tamponare le perdite. Alessandro, 32 anni, vendeva frutta. Il negozio, nel centro di Visso, ha subito crolli interni e i due magazzini sono collassati su se stessi. In paese c’erano 70 attività tra bar, ristoranti, hotel, alimentari. Ora sono quasi tutte chiuse.
«Eravamo signori», ironizza Alessandro, «e da un giorno all’altro siamo rimasti con una scarpa e una ciabatta. Ho dovuto trovarmi subito un nuovo lavoro. I mutui sono sospesi, come le utenze. Ma prima o poi lo Stato e la banca tornano a chiederti i soldi». A luglio era entrato in una casa nuova. «Il terremoto mi ha tolto pure quella». Adesso lavora a Macerata, in un supermercato, col pensiero fisso di tornare in paese, appena arriverà il container dove allestire il negozio. Il problema, però, rimane: «Se tutti sono sulla riviera, io per chi riapro?».
In quel fazzoletto d’Italia centrale, la terra ha tremato così forte che si è portata via un pezzo di montagna. Se ne vedono le tracce sulla strada che congiunge Visso a Castelsantangelo sul Nera, dove massi grandi come una macchina punteggiano i lati della carreggiata. Lo sanno bene gli allevatori, che nel peggiore dei casi, data l’inagibilità di alcune vie, devono percorrere anche decine di chilometri al giorno per sfamare le bestie. «Ora portiamo gli animali a valle, poi me ne vado in Abruzzo a fare il maestro di snowboard», racconta Enrico, 25 anni e una voglia costante di viaggiare. Il suo schema è sempre stato: durante l’anno a lavorare nell’azienda di famiglia, che alleva e macella mucche e cavalli, d’inverno a fare la stagione. Quest’anno, però, il terremoto ha spazzato via la macelleria. «Io sarei rimasto anche vicino a casa. A Frontignano ci sono gli impianti di risalita, ma non sono agibili per via del terremoto». Per molti l’importante è guadagnare qualcosa e non stare solo ad aspettare. Mirco sorride: «A noi non piace stare fermi, siamo ragazzi laboriosi».
Anche Simona, 25 anni, vuole uscire da questa situazione surreale. La sua villetta, a pochi metri dal centro di Visso, è l’unica dal cui camino sbuffi ancora fumo. Intorno, solo case vuote. Se durante il giorno qualcuno c’è – operai, elettricisti, muratori, volontari, gente che non riesce a rassegnarsi e veglia da lontano sulla propria abitazione – la sera cala il silenzio. Ne sono una prova i 600 pasti che l’esercito fornisce a pranzo e che si riducono a un centinaio scarso per cena. Un dodicesimo degli abitanti del Comune. Simona ferma Lorenzo prima che parta per “l’alta Italia”. Corre in macchina e torna con una cartelletta rosa in mano. Dentro ci sono una decina di curriculum. Controlla la fotografia che la ritrae sorridente, truccata, i capelli lunghi e ben pettinati. Ha perso il lavoro da cameriera in un ristorante, ma le hanno già offerto un contratto di un mese. Assunta da una cooperativa, aiuta il Comune a sbrigare le pratiche che adesso affossano gli uffici, stipati in un container. Una sistemazione momentanea che non la soddisfa. Mentre si allontana, saluta l’amico con speranza: «Trovami un lavoro»
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