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Giovedì a Pesaro si parla di arte contemporanea

Giovedì a Pesaro si parla di arte contemporanea

Alla vigilia della conferenza abbiamo intervistato il critico d’arte Silvia Cuppini e lo scultore Claudio Cesarini

Giovedì a Pesaro si parla di arte contemporanea Giovedì a Pesaro si parla di arte contemporanea

di PAOLO MONTANARI

PESARO – Si parlerà di Arte del Novecento, nell’incontro che si terrà giovedì 1 dicembre 2016 alle ore 18, nella sala del Consiglio comunale, nell’ambito del ciclo di conferenze Il Secolo Breve, Avanguardie, sperimentazione e globalizzazione culturale, organizzato dall’associazione culturale Pegasus e dall’Assessorato alla Bellezza del Comune di Pesaro. Silvia Cuppini, docente di storia dell’Arte contemporanea dell’Università di Urbino e critico d’arte e Claudio Cesarini, scultore e storico dell’arte, si soffermeranno su due tematiche particolari, che hanno caratterizzato il Novecento: La Cuppini su “Il segno nell’arte contemporanea da Osvaldo Licini a Lucio Fontana, attraverso le nuove tendenze figurative” e Claudio Cesarini su “La scultura, il silenzio, la pittura e la sofferenza”.

Abbiamo intervistato questi due protagonisti dell’arte marchigiana e nazionale.

Professoressa Cuppini, sono due grandi personalità, Osvaldo Licini e Lucio Fontana, che nonostante abbiano percorsi diversi, ad un certo punto si incontrano….

“Si è vero. Partirei da una frase di Osvaldo Licini: “La mia pittura pre astratta è pittura fauve che viene da Cèzanne, Van Gogh e Matisse, tra i maestri di primordine, e i miei disegni lo possono provare”. Licini, nasce in terra marchigiana e dopo un lungo peregrinare e incontri artistici, ritorna nella sua terra d’origine. Le sue trappe principali sono: 1926, aderisce al gruppo del Novecento a Milano e qui parteciperà sia alla prima che alla seconda edizione della mostra del Novecento italiano. In realtà è solo una condivisione esteriore di Licini, a quella pienezza di masse tipica del Novecento. I perimetri delle sue opere non esaltano il volume, ma lo aggrediscono, lo scavano, le linee scivolano. Licini, in realtà espone per la prima volta nel marzo del 1924 con Mauro Bacchelli, Giorgio Morandi, Severo Pozzati e Giacomo Vespignani. Fin d’allora in Licini troviamo un linguaggio eversivo della protesta contro le convenzioni artistiche e sociali, ma anche contro la vitalità blasfema del Futurismo. Per cui non aderisce al movimento futurista e non ne fa suo lo stile pittorico, le tematiche e le ricerche sul dinamismo.”

Lei è partita dal periodo milanese, che è il momento di incontro con Lucio Fontana. Ma il percorso dell’irrequieto Licini, ha avuto in precedenza altre tappe significative?

“Certamente, è importante il periodo parigino, dove fece conoscenza con Modigliani, Picasso e condivise la passione per l’arte simbolista. Si immerse anche nel mondo della poesia. Non amò solo Leopardi e Novalis, ma anche i francesi,Apollinaire, Mallarmé, Rimbaud,Valery e Dino Campana, il più francese dei poeti italiani. Insomma fino questo momento,Licini attraversò tre periodi:

Il periodo che va dal 1913 al 1915 in cui aderì al primitivismo fantastico; il periodo che va dal 1915 al 1920 con disegni e pitture su episodi di guerra,(quasi tutti distrutti) e il periodo che va dal 1920 al 1929 che si può definire realista, con tutte le eccezioni che abbiamo detto.Dopo il primo periodo milanese, di cui ho già parlato, Licini partì per la Germania e visitò la mostra degli impressionisti ad Amburgo. Fu una autentica rivoluzione interiore per l’artista marchigiano. Il rientro in Italia fu caratterizzato dall’incontro di Licini con gli artisti Ghiringhelli,Bigliardi,Melotti,Fontana e Veronesi. Poi lo studio di Kandisnskji  e Klee, fanno maturare una nuova sensibilità per la linea. Nasce un vocabolario liciniano, che pur rifacendosi alle regole geometriche, per intensità cromatica irrompe nella struttura compositiva, evitando le campinature piatte di Mondrian, articolandosi in superfici pittoricamente sensibili e vibranti in profondità tonali”.

Dunque il contatto con Fontana o meglio l’influenza astrattista è marginale in Licini?

“Licini è un artista sempre ij movimento e nel 1938 entra in un’altra fase, quella del figurativismo fantastico, cioé la scoperta di un nuovo mondo poetico-figurativo che lui definisce “la scalata al cielo”. Realizza figure inquietanti,affascinanti,beffarde ed eroiche. Negli anni cinquanta i temi iconografici si legano alla figura dell’Angelo che lentamente tende a geometrizzarsi e poi compaiono i Missili lunari, che ricordano gli anni della conquista dello spazio. L’artista ha finito il suo compito esteso per quasi mezzo secolo”.

L’altro grande artista che segnerà con la sua arte il Novecento è Lucio Fontana….

“In Lucio Fontana è fondamentale la linea e il segno, perché diventeranno i simboli archetipici dell’essenzialità nell’arte contemporanea. Le lacerazioni della tela con i tagli,acquistano valori che vanno oltre alla stessa realtà”.

“L’arte è nata con me”. Così definisce la sua vocazione artistica, Claudio Cesarini, scultore e insegnante d’arte pesarese.

Maestro, come è nata la sua vocazione artistica?

“Ogni essere umano nasce con un dono divino, sarà poi la gratitudine della vita a fornirne il suo posto. Personalmente la mia vocazione artistica è anta da una folgorazione a Roma, quando visitai con mia madre, la Cappella Sistina in Vaticano. Avevo sei anni e di fronte a quella visione mi persi letteralmente non solo con la mente ma anche fisicamente. Osservai poi con una tale intensità quelle sculture, che giganteggiavano sulla piazza del Bernini, che quando mia madre mi ritrovò, io pensai di non essermi perso e non capivo il perché di tutta quella agitazione. Ho poi compiuto i miei studi all’Accademia di belle arti di Firenze e all’Istituto Porta Romana, avendo come docenti dei grandi maestri del ‘900: Innocenti, Moschi, Grazzini e Parrocchi.”

Ma vi è stata una svolta nel suo iter artistico, che poi porterà la sua scultura verso immagini anche drammatiche e silenziose….

“E’ stato certamente il soggiorno a New York. Quando ritornai in Italia nel 1961, avevo una concezione della scultura completamente diversa.L’obiettivo fu quello di avvicinarmi all’idea primigenia dell’opera che avevo dentro e che respirava nelle pareti del mio cervello, del cuore e dell’anima. Il mio obiettivo si è semplificato, è diventato un’esigenza, un’urgenza di far nascere figure che mi affollano lo sguardo e il pensiero. Il mio soggetto è sempre stato l’Uomo. Ho scoperto l’anziano o più crudelmente vecchio nella sofferenza dell’oblio dell’ospizio, poi ritrovato nell’emarginazione delle strade delle grandi metropoli e sofferto nella gabbia dell’io, di un ospedale psichiatrico. Ora il mio Uomo rappresenta la sua interiorità, anche nell’essenza delle linee scultoree.”

E la sofferenza e il disagio nella pittura di suo fratello Enzo?

“Enzo è un genio. Il mio giudizio non è di parte. La sua capacità cromatica crea drammi esistenziali che si conciliano con la sofferenza del vivere e dell’abitazione o studio dove lavora in perfetta solitudine”.

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